SIENA. Questa è una storia tutta da scoprire a metà tra il fantastico e il leggendario, ma con radici nel profondo medioevo.
Siamo nel territorio della Contrada del Leocorno e precisamente nella chiesa di San Giovannino detto anche “della Staffa”. Nel corso di una visita che alcuni amici mi fecero fare in questo bellissimo luogo di culto, compreso il tour del museo, potei constatare, oltre alla bellezza delle opere d’arte in esso contenute, alcune iscrizioni molto curiose, in primis quella in latino sul pavimento.
Così, prima per scherzo e poi per sopravvenuto zelo di passione mista a curiosità, presi ad indagare su questa chiesa fitta di misteri. Ne venne fuori una piacevole serata in contrada dove, tra una diapositiva e l’altra, spiegai alcuni fatti storici di quel territorio inerenti alle notizie sulle antiche mura di Via Bandini, sulla porta di Follonica vecchia e nuova, sulle fonti di Follonica, sulla chiesa di S. Giovanni della Staffa, focalizzando il punto su alcuni risultati delle mie ricerche come la traduzione dell’iscrizione sul pavimento posta a metà del 1700 dai fratelli Bindi o le verità sulle reliquie di San Felicissimo.
Negli approfondimenti che avevo fatto per reperire notizie della chiesa però, mi appassionai particolarmente alla storia di una Santa anglosassone che proprio in questo luogo veniva ricordata un paio di secoli fa. Si trattava di Santa Edildrude da Ely, Regina e Vergine. Ad onor del vero veniva chiamata indifferentemente anche Ediltrude, Edeltrede, Eteldreda ecc.. forse per via che per noi italiani, è un nome abbastanza difficile da pronunciare.
La prima notizia di questa santa uscì alla lettura del celebre “Diario Sanese”, opera sempre da consultare, di Girolamo Gigli. Ecco il passo originale contenuto a pagina 54 del libro: “S. EDILDRUDE Reina e Vergine. Si danno le vacanze nella pubblica Università. Si traggono nella Curia de’ Regolatori a sorte, l’Avvocato, ed il Procurator de’ Poveri per il secondo semestre. La sera si va all’Offizio alla Compagnia di S. Giovanni in Pantaneto, dove intervengono quelle di S. bernardino, S. Gherardo e S. Stefano e dalla medesima Confraternita in Pantaneto si libera uno, o più prigioni dalle Stinche per la somma di scudi venti”.
Leggendo la storia della vita di questa santa, scopriamo che forse più di tutte rappresenta in assoluto l’emblema della verginità. Confrontando quattro diversi autori, vi riassumo le vicende più importanti di questa figura femminile assai testarda nel perseguire la fede. Eteldreda era la figlia di Annah, re degli Angli orientali e la sorella delle sante Sesburga, Etelburga e Withburga. Nacque a Exning nel Suffolk. Secondo il desiderio dei genitori, ella andò sposa al principe di Gyrvii, Thonbert, col quale tuttavia visse in perpetua continenza. Tre anni dopo il matrimonio, rimasta vedova, si ritirò nell’isola di Ely, che aveva ricevuto dal marito come dono di nozze, dove per cinque anni condusse vita solitaria, trascorrendo in preghiera la maggior parte del suo tempo. Richiesta in matrimonio da Egfrido, il più giovane dei figli del re di Northumbria, cedette a condizione che il giovane marito si impegnasse a rispettare la sua verginità. Questi accettò, ma in seguito, pentitosi, chiese al Vescovo di scioglierlo da quella promessa. Poco dopo Eteldreda si ritirò nel monastero di Coldingham, dove si fece definitivamente suora e, terminato il noviziato, si ritirò nuovamente a Ely, fondandovi un doppio monastero, che governò fino alla morte, avvenuta nel 679. La sua tomba, nella cattedrale di Ely, fu particolarmente venerata e meta di pellegrinaggi.
La sua storia è anche narrata in una iscrizione nella facciata della chiesa romana di Santa Maria Maggiore assieme a quella di Santa Pulcheria Imperatrice e Santa Cunegonda regina di Polonia. La cosa interessante della Santa dell’isola di Ely però, almeno per noi senesi, è che viene spesso raffigurata o scolpita accanto a degli “unicorni”. Questo animale mitologico e in particolare il suo corno, è da sempre l’emblema della “verginità” ed è rappresentatissimo, fin dalle prime immagini disegnate nei “bestiari” medievali, accostato sempre ad una giovane fanciulla. La leggenda, le cui origini si perdono davvero nella notte dei tempi, narra che questo animale miracoloso (l’unicorno) apparisse nei boschi solo in presenza di una vergine e che solo dalle vergini si facesse avvicinare ed accarezzare. I Regnanti che ne volevano catturare un esemplare, usavano come esca le giovani adolescenti ed i cacciatori aspettavano nascosti nel bosco che un unicorno si avvicinasse e si addormentasse ai piedi della ragazza.
Centinaia di dipinti, arazzi, libri, raffigurazioni raccontano in tutta Europa questa medesima comune leggenda tanto che alcuni dei pittori più celebrati del cinquecento come Raffaello Sanzio Luca Longhi hanno almeno un quadro con il soggetto “Dama con Unicorno”.