L'origine del nome e la storia delle monache
di Augusto Codogno
SIENA. Secondo Teofilo Gallaccini, esimio erudito vissuto nella seconda metà del XVI (nacque nel 1564), la Porta delle Sperandie si apriva nel cosiddetto settimo circuito murario, che fu poi l’ultimo, se si esclude il pezzo che da Porta Ovile andava fino a San Cristoforo, fatto successivamente per racchiudere entro le mura la Basilica di S. Francesco. Alla fine del 1500 questa porta era già murata e forse venne chiusa nel periodo dell’assedio di Siena che si concluse nel 1555. Secondo la sua descrizione la cinta muraria “…torcendo alquanto longo l’orto delle Monache di S. Marta, si allonga fin che dà luogo alla porta a San Marco, e passando più oltre riceve una porta, che fu murata, sopra la via delle Sperandie, e spingendosi avanti per la scesa, e per la salita del monte, giunge ove forma la Porta Tufi…”.
La Porta delle Sperandie è tuttoggi visibile lungo le mura (a sinistra uscendo da Porta San Marco), benchè murata. Le sue piccole dimensioni, fanno pensare che questo fosse un ingresso di secondaria importanza. Probabilmente era un accesso riservato all’utilità del vicino Monastero, che aveva sede dove oggi è la Caserma della Polizia di Stato. Anticamente questa porta veniva anche chiamata “Porta di Fonte Benedetta” perché la sua strada e cioè il proseguimento di Via delle Sperandie oltre le mura, portava ad una famosa fonte che così s’appellava e che si trovava più a valle verso la Tressa. Nonostante questa fonte esista ancora e la località vicino al torrente porti tutt’oggi questo nome, il recente rinvenimento di un’altra fonte vicino alla porta, venuta alla luce recentemente ed oggetto di restauro, potrebbe creare qualche ragionevole dubbio.
La nuova fonte, denominata “Fonte delle Monache”, nascosta ed ingrottata a ridosso della cinta muraria, venne casualmente scoperta pochi anni fa e risistemata doverosamente per i visitatori. Questa era collegata tramite una scalinata al Monastero ed era invisibile dall’esterno in quanto molti metri sotto al livello del terreno. Probabilmente era usata dalle suore che, vivendo in clausura, non dovevano essere viste. Essa riceveva acqua da un canale (bottino), che sembra avere un percorso autonomo e non collegato con la rete idrica della città. Sempre nella vallata dietro il convento ci sono anche un paio di altre fonti di minor importanza. Forse dunque la “Porta di Fonte Benedetta” potrebbe aver preso il nome da questa e non dall’ altra, ma è un dubbio che per ora non possiamo risolvere. Via delle Sperandie dunque iniziava dalla nostra porta ed arrivava fino alla chiesa di Santa Lucia (dei SS Niccolò e Lucia per l’esattezza) dove, da un’altra antica porta denominata Oria Nuova (poi Arco di Santa Lucia), si entrava in Castelvecchio.
Le monache che diedero il nome alla Porta, alla Via ed anche al quartiere che inizialmente era detto “Borgo Nuovo di S. Marco” erano originariamente dell’ordine benedettino. Il loro Monastero detto della “Visitazione” o delle “Trafisse”, ora in uso alle guardie di P.S. sembra aver origini antichissime, ma con buona probabilità non era ubicato nello stesso luogo, ma qualche decina di metri più a ovest. Anche il toponimo “Sperandie” che molti vogliono far derivare dalle suore, chiamate popolarmente “Spera in Dio” potrebbe avere diversa origine. Anticamente, circa nel 1273, in questa strada era stato fondato un Monastero femminile denominato di S. Agnese da una certa Santuccia da Gubbio. La Beata Santuccia era nata nella famiglia eugubina de’ Terrabotti, si era sposata e poi convertita con voto di castità al terzo Ordine de’ Servi della Beata Vergine sotto la Regola di S. Benedetto. Avendo molto seguito tra le giovani, fondò un primo monastero a Gubbio con altre suore e ne divenne la Badessa prendendo gli abiti del secondo Ordine e ricevendo l’incarico dal pontefice di andare in altre città a fondare più monasteri ed a riformarne altri. A lei fu affiancata, da Papa Onorio IV, un’altra Monaca dello stesso Ordine Benedettino di nome Sperandia, che sappiamo essere stata con lei in Siena intorno all’anno della fondazione del monastero di S. Agnese. Le peripezie di queste suore furono notevoli tanto che il nome di “Monastero di Santa Maria della Visitazione o delle Trafisse” rende conto solo in minima parte del loro travagliato percorso storico. Il loro punto di arrivo è la sintesi di una fusione tra monasteri diversi di ordini religiosi differenti: quello di San Prospero (Cistercense) e quello di S. Agnesa (Benedettino).
Il Convento di S. Agnesa in San Marco si mantenne con lo stesso nome sotto la regola di San Benedetto per molti secoli fino a che, a queste religiose, si aggiunsero quelle d’ordine cistercense di S. Prospero. Le monache di S. Prospero, provenivano inizialmente da Monte Cellesi, antico Monastero fondato nel lontano 1063 al tempo di Giovanni Vescovo di Siena e le monache che vi abitavano erano anch’esse “benedettine” (col nome di Monache della Beata Vergine di Monte Cellesi), ma nel 1213 cambiarono regola e divennero Cistercensi. Nel 1252 traslocarono in quel di San Prospero, (vicino alla Fortezza Medicea) e qui rimasero fino al 1526 quando il loro monastero fu distrutto nell’anno della famosa battaglia di Camollia. Dopo di questo, le religiose di San Prospero furono spostate in S. Antonio in Fontebranda dove, dopo aver comperato case ed orti da certo Vannoccio di Paolo di Vannoccio, si decisero a ritirarsi in clausura nel 1532 e nell’anno successivo (1533) vennero tolte dal governo dei Monaci di San Galgano e poste sotto la direzione dell’Ordinario. Finalmente nel 1534, per ordine dell’Arcivescovo di Siena, Cardinal Giovanni Piccolomini, dopo qualche timida opposizione, le religiose di San Prospero dell’Ordine Cistercense, furono riunite alle Benedettine di S. Agnesa di San Marco, facendo di due un solo Monastero sotto il nome di “S. Prospero e S. Agnesa” sotto l’ordine dei Cistercensi. Sempre in questi anni comperarono un vecchio palazzo con degli orti in via delle Sperandie, vicino alla porta S. Marco ove in origine proveniva un ramo di dette sorelle e vi costruirono un nuovo Monastero a stile cistercense, con una bella chiesa.
Di comune accordo, nel 1537, lasciarono il titolo dei Santi Prospero ed Agnesa, presero quello della “Trasfissione del Cuore della Vergine Immacolata” onde si dissero “Le Trafisse” ed il loro Monastero “della Madonna”. Nel 1810, con la soppressione napoleonica, furono cacciate dal loro nido, ma nel 1815 vi ritornarono in numero di sessanta con l’aggiunta di altre religiose di altri Ordini e, per uniformarsi, adottarono l’abito nero. Nel 1864, il Governo le espulse nuovamente e concesse loro il collegio, detto “Rifugio”, dove rimasero fino al 1909, tempo in cui scadeva la concessione.In seguito alle insistenti preghiere dell’Arcivescovo di Siena, Mons. Prospero Scaccia, la contessa Giuditta Piccolomini acquistò l’antico monastero delle Agostiniane, dette di S. Paolo: un vecchio palazzo in via delle Sperandie, a pochi passi dall’antico monastero ove si trasferirono.
SIENA. Secondo Teofilo Gallaccini, esimio erudito vissuto nella seconda metà del XVI (nacque nel 1564), la Porta delle Sperandie si apriva nel cosiddetto settimo circuito murario, che fu poi l’ultimo, se si esclude il pezzo che da Porta Ovile andava fino a San Cristoforo, fatto successivamente per racchiudere entro le mura la Basilica di S. Francesco. Alla fine del 1500 questa porta era già murata e forse venne chiusa nel periodo dell’assedio di Siena che si concluse nel 1555. Secondo la sua descrizione la cinta muraria “…torcendo alquanto longo l’orto delle Monache di S. Marta, si allonga fin che dà luogo alla porta a San Marco, e passando più oltre riceve una porta, che fu murata, sopra la via delle Sperandie, e spingendosi avanti per la scesa, e per la salita del monte, giunge ove forma la Porta Tufi…”.
La Porta delle Sperandie è tuttoggi visibile lungo le mura (a sinistra uscendo da Porta San Marco), benchè murata. Le sue piccole dimensioni, fanno pensare che questo fosse un ingresso di secondaria importanza. Probabilmente era un accesso riservato all’utilità del vicino Monastero, che aveva sede dove oggi è la Caserma della Polizia di Stato. Anticamente questa porta veniva anche chiamata “Porta di Fonte Benedetta” perché la sua strada e cioè il proseguimento di Via delle Sperandie oltre le mura, portava ad una famosa fonte che così s’appellava e che si trovava più a valle verso la Tressa. Nonostante questa fonte esista ancora e la località vicino al torrente porti tutt’oggi questo nome, il recente rinvenimento di un’altra fonte vicino alla porta, venuta alla luce recentemente ed oggetto di restauro, potrebbe creare qualche ragionevole dubbio.
La nuova fonte, denominata “Fonte delle Monache”, nascosta ed ingrottata a ridosso della cinta muraria, venne casualmente scoperta pochi anni fa e risistemata doverosamente per i visitatori. Questa era collegata tramite una scalinata al Monastero ed era invisibile dall’esterno in quanto molti metri sotto al livello del terreno. Probabilmente era usata dalle suore che, vivendo in clausura, non dovevano essere viste. Essa riceveva acqua da un canale (bottino), che sembra avere un percorso autonomo e non collegato con la rete idrica della città. Sempre nella vallata dietro il convento ci sono anche un paio di altre fonti di minor importanza. Forse dunque la “Porta di Fonte Benedetta” potrebbe aver preso il nome da questa e non dall’ altra, ma è un dubbio che per ora non possiamo risolvere. Via delle Sperandie dunque iniziava dalla nostra porta ed arrivava fino alla chiesa di Santa Lucia (dei SS Niccolò e Lucia per l’esattezza) dove, da un’altra antica porta denominata Oria Nuova (poi Arco di Santa Lucia), si entrava in Castelvecchio.
Le monache che diedero il nome alla Porta, alla Via ed anche al quartiere che inizialmente era detto “Borgo Nuovo di S. Marco” erano originariamente dell’ordine benedettino. Il loro Monastero detto della “Visitazione” o delle “Trafisse”, ora in uso alle guardie di P.S. sembra aver origini antichissime, ma con buona probabilità non era ubicato nello stesso luogo, ma qualche decina di metri più a ovest. Anche il toponimo “Sperandie” che molti vogliono far derivare dalle suore, chiamate popolarmente “Spera in Dio” potrebbe avere diversa origine. Anticamente, circa nel 1273, in questa strada era stato fondato un Monastero femminile denominato di S. Agnese da una certa Santuccia da Gubbio. La Beata Santuccia era nata nella famiglia eugubina de’ Terrabotti, si era sposata e poi convertita con voto di castità al terzo Ordine de’ Servi della Beata Vergine sotto la Regola di S. Benedetto. Avendo molto seguito tra le giovani, fondò un primo monastero a Gubbio con altre suore e ne divenne la Badessa prendendo gli abiti del secondo Ordine e ricevendo l’incarico dal pontefice di andare in altre città a fondare più monasteri ed a riformarne altri. A lei fu affiancata, da Papa Onorio IV, un’altra Monaca dello stesso Ordine Benedettino di nome Sperandia, che sappiamo essere stata con lei in Siena intorno all’anno della fondazione del monastero di S. Agnese. Le peripezie di queste suore furono notevoli tanto che il nome di “Monastero di Santa Maria della Visitazione o delle Trafisse” rende conto solo in minima parte del loro travagliato percorso storico. Il loro punto di arrivo è la sintesi di una fusione tra monasteri diversi di ordini religiosi differenti: quello di San Prospero (Cistercense) e quello di S. Agnesa (Benedettino).
Il Convento di S. Agnesa in San Marco si mantenne con lo stesso nome sotto la regola di San Benedetto per molti secoli fino a che, a queste religiose, si aggiunsero quelle d’ordine cistercense di S. Prospero. Le monache di S. Prospero, provenivano inizialmente da Monte Cellesi, antico Monastero fondato nel lontano 1063 al tempo di Giovanni Vescovo di Siena e le monache che vi abitavano erano anch’esse “benedettine” (col nome di Monache della Beata Vergine di Monte Cellesi), ma nel 1213 cambiarono regola e divennero Cistercensi. Nel 1252 traslocarono in quel di San Prospero, (vicino alla Fortezza Medicea) e qui rimasero fino al 1526 quando il loro monastero fu distrutto nell’anno della famosa battaglia di Camollia. Dopo di questo, le religiose di San Prospero furono spostate in S. Antonio in Fontebranda dove, dopo aver comperato case ed orti da certo Vannoccio di Paolo di Vannoccio, si decisero a ritirarsi in clausura nel 1532 e nell’anno successivo (1533) vennero tolte dal governo dei Monaci di San Galgano e poste sotto la direzione dell’Ordinario. Finalmente nel 1534, per ordine dell’Arcivescovo di Siena, Cardinal Giovanni Piccolomini, dopo qualche timida opposizione, le religiose di San Prospero dell’Ordine Cistercense, furono riunite alle Benedettine di S. Agnesa di San Marco, facendo di due un solo Monastero sotto il nome di “S. Prospero e S. Agnesa” sotto l’ordine dei Cistercensi. Sempre in questi anni comperarono un vecchio palazzo con degli orti in via delle Sperandie, vicino alla porta S. Marco ove in origine proveniva un ramo di dette sorelle e vi costruirono un nuovo Monastero a stile cistercense, con una bella chiesa.
Di comune accordo, nel 1537, lasciarono il titolo dei Santi Prospero ed Agnesa, presero quello della “Trasfissione del Cuore della Vergine Immacolata” onde si dissero “Le Trafisse” ed il loro Monastero “della Madonna”. Nel 1810, con la soppressione napoleonica, furono cacciate dal loro nido, ma nel 1815 vi ritornarono in numero di sessanta con l’aggiunta di altre religiose di altri Ordini e, per uniformarsi, adottarono l’abito nero. Nel 1864, il Governo le espulse nuovamente e concesse loro il collegio, detto “Rifugio”, dove rimasero fino al 1909, tempo in cui scadeva la concessione.In seguito alle insistenti preghiere dell’Arcivescovo di Siena, Mons. Prospero Scaccia, la contessa Giuditta Piccolomini acquistò l’antico monastero delle Agostiniane, dette di S. Paolo: un vecchio palazzo in via delle Sperandie, a pochi passi dall’antico monastero ove si trasferirono.