di Augusto Codogno
ASCIANO. Resti del campanile a vela della Pieve di S. Martino in Grania. Prima di entrare nel vivo della ricerca storica, occorre circoscrivere quest’area sia dal punto di vista geografico, che da quello storico-toponomastico. Per “Grania” o più anticamente “Ligrania” o anche “Graina”, si intende una zona collinare compresa tra i comuni di Asciano e Monteroni d’Arbia, pochissimi chilometri a sud di Siena. Siamo nel territorio delle cosiddette “crete senesi”, con i suoi caratteristici paesaggi dove i calanchi bianco-grigi si alternano alla terra coltivata.
Grania e San Martino: due chiese e due popoli. San Martino in Grania e Grania furono anticamente due distinte comunità, separate nell’amministrazione civile e nella cura delle anime. Sebbene fossero molto vicine l’una all’altra, furono, a partire dalla metà del 1200, due singoli “Comunelli” del contado di Siena, con i loro “sindici” e la loro propria chiesa: San Jacopo e Cristoforo per Grania e San Martino per l’omonima comunità. I due Comunelli, ebbero destini diversi fino a quando furono entrambi riuniti sotto la comunità di Asciano con Decreto Granducale del 2 Giugno 1777.
La zona intorno alla Pieve di San Martino. Ancora oggi, intorno a questa antichissima Pieve, sono presenti degli edifici che risultano già esistenti e testimoniati nei primi anni dopo al mille, mentre la Pieve è addirittura antecedente. Altri edifici invece, risultano irrimediabilmente scomparsi, come la chiesa di Piscinarotonda ed il Castello di San Martino che doveva trovarsi molto vicino alla Pieve. L’area denominata “Grania”, già testimoniata nel periodo Longobardo, fu influenzata nel successivo periodo “Carolingio”, dalla nascita di due Monasteri: quello femminile dei SS. Abundio e Abundanzio presso Siena nell’anno 801 e quello di San Salvatore della Berardenga, detto anche di Fontebona nell’anno di Nostro Signore 867. Il primo, fondato dal figlio di Carlo Magno, è quello che ci permette di collocare la Chiesa di San Martino antecedentemente al IX° secolo, intorno all’anno 802/805. Il secondo, fondato nell’anno 867 (Febbraio) ad opera del Conte Winigi nella zona della “Berardenga”, ci supporta con numerosi atti di donazioni e compravendite in cui sono citati luoghi, terreni, toponimi delle località comprese nell’area da noi studiata, non ultima la nostra chiesa.
Nel 1003 il primo era già da tempo sottoposto al grandissimo monastero benedettino di S. Eugenio in Pilosiano (località Costafabbri-Siena), mentre il secondo, che aveva perduto l’antico splendore, fu addirittura rifondato (stavolta per maschi) sempre dagli eredi del Conte Winigi. Il Monastero di S. Eugenio, fondato nel 730 dai longobardi e precisamente dal “gastaldo” di Siena Warnefrit, si sostituirà dunque nell’amministrazione dei possessi delle monache di S. Abundio. Il Monastero di Fontebona sarà anch’esso un punto di riferimento importante per le notizie che, a partire dai primi anni dopo al mille, ci fornirà su San Martino in Grania. Tra le carte di quest’ultimo, note anche come “Cartulario della Berardenga” troviamo il primo documento originale e consultabile sulla Pieve di San Martino, che risale al 1023 e testimonia inconfutabilmente l’esistenza dell’edificio di culto. Nonostante la datazione di questo manoscritto però, abbiamo la certezza che la nostra Pieve sia molto più antica e per provarlo occorre tornare di nuovo a parlare del Monastero dei SS. Abundio e Abbondanzio, nato sulle rive del torrente Tressa, due miglia fuori dalla città di Siena. Appartenne all’Ordine Benedettino, fu fondato da Pipino il Breve nel 801 e le sue monache erano chiamate comunemente e più semplicemente “suore di Santa Bonda”. Appena fu fondato, il 16 settembre dello stesso anno fu consacrato ai santi suddetti e dotato di numerosi beni e rendite. Come dote iniziale, alle 12 suore appena insediate, fu dato il giuspatronato di tre chiese: la chiesa di S. Agata a Vignano, quella di S. Stefano a Pecorile e quella di San Martino in Grania. Queste notizie ci provengono dalle cronache di suor Giuditta Luti scritte sul finire del 1500. Giuditta Luti fu una donna letterata e colta, scrittrice e poetessa (prediligeva e componeva sonetti), e non ebbe sicuramente alcuna difficoltà nell’attingere alla documentazione, in quanto le antiche pergamene erano a quei tempi disponibili, in originale, nell’archivio del convento di “Santa Bonda”, dove lei stessa fu Badessa. Il racconto fu poi implementato e proseguito con la narrazione delle vicende contemporanee dalle Badesse che dopo di lei si susseguirono alla guida del Monastero. L’opera vide poi la luce dopo la sua morte e fu pubblicata in Siena nel 1636 con il titolo di “Istoria del Monastero de’ SS. Abundio e Abundanzio”. La località comincia invece a comparire in alcuni contratti e donazioni a partire dal 1023.
Del 1038 (ASS, Aprile) è una membrana dell’Abbazia di S. Salvatore a Monte Amiata che fu proprio redatta in S. Martino “dicto Grania”. È un contratto, col quale Guido figlio di altro Guido, e Ildebrando figlio di Ranieri dei signori di Sarteano promettono ad Alpichiso, abate del monastero di S. Salvatore del Monte Amiata, di non molestarlo nei beni che il suo monastero possedeva nel contado di Chiusi.
Del 1071 (ASS DOM, casella 11) è invece una donazione dove tale Teuzo detto Gudino, figlio del fu Teuzo, dona in rimedio della sua anima e di quella dei suoi genitori alla chiesa e canonica di S. Maria di Siena una masca in Grania, in luogo detto Osimi, nel territorio della “Plebs S. Martini”.
Nel 1081, la nostra Pieve compare in una donazione del Vescovo senese Rodofo ed emerge anche il nome del più antico pievano che si conosca: Pepo o Pepone.
Nel 1092 Ser Guglielmo del fu Adamo, che è il Rettore di San Martino in Grania dona alcuni terreni alla Badia di San Salvatore a Fontebona. Questi terreni, detratte 2 staiora (unità di misura di superficie, poi detta staio o staia), vengono regalati per la salvezza dell’anima del detto donante e dei suoi genitori. I beni di Guglielmo sono nei luoghi di Decimo (vicino a Vescona) e di Grania (detta ancora “Graina”) e sono compresi, come precisa lo stesso donante, tra la Pieve di San Giovanni a Vescona e quella di San Martino.
Le testimonianza continuano ancora con una pergamena del 1132, le bolle di Papa Adriano IV del 1157, di Papa Alessandro III del 1176 e di Papa Clemente III del 1189, dove la pieve di San Martino in Grania viene nominata assieme al suo castello
Poi altri importanti documenti nel 1204, un’altra bolla di Papa Innocenzo III nel 1207 e nel 1210. Nel 1220 (ASS DOM 1220 Dicembre 10, casella 37) Prete Giovanni da Villanuova rinuncia alla nomina di parroco (avvenuta per elezione da parte del pievano di San Martino in Grania) alla chiesa di San Bartolomeo di Leonina e nel 1240, Piero di Caffarello di S. Martino in Grania, dichiara di ritenere 4 pezzi di terra in Grania per anni 8, da messer Pietro di Gianni Gallerani, obbligandosi di lavorarli e di dare la terza parte delle raccolte al proprietario.
Nel 1274/1280 (dal Volume Tuscia “La Decima degli anni 1274-1280”), la nostra Pieve, indicata come “Plebes S. Martini in Graina”, non doveva passarsela male, poiché aumenta la sua quota di decime da pagare. Il dovuto infatti, passa dalle 3 Libre del 1275 a 3 libre e 10 denari del 1280.
Nel 1287, la Comunità di S. Martino in Grania doveva esser ritenuta di una certa importanza se da Siena viene nominato un Podestà per amministrarla ed in questo caso fu designato tale Leoncino Squarcialupi. Dall’inizio del 1300 la documentazione si fa molto fitta, per cui indicherò soltanto i documenti più importanti tra cui questo del 1317 (AAS–Libro delle Decime della Diocesi di Siena) che ci fa conoscere quali fossero le chiese dipendenti dalla nostra Pieve. Dalla tabella sottostante possiamo capire alcune cose, tra cui quante libre (Lire) e quanti soldi dovevano pagare ognuna di esse:
Plebs Sancti Martini in Grania Libre Soldi cum ecclesia de Piscinaritonda III X
Ecclesia Sancti Johannis de Modana — —
“ “ de Ponzano II X
“ “ Sancti Bartolomei de Leonina II X
“ “ Sanctorum Jacobi et Xpofori — —
“ “ de Villanova II X
“ “ Sancte Mariae de Larnine — —
Se per ognuna di queste chiese ci sono notizie storiche, nulla troviamo sulla quella detta di “Piscinaritonda”, ormai in cattive condizioni tanto da essere annessa definitivamente alla Pieve.
Nel 1320 però (ASS-Estimo della Comunità di San Martino in Grania), ricompare l’antica chiesa di “Piscina Rotonda”. Si parla infatti di un pezzo di terra lavorato “positam in loco dicto Piscina Ritonda” i cui confinanti sono un tale Ristoro Rustichelli ed il terreno della stessa Chiesa di San Martino in Grania.
Nell’Estimo del Comunello di San Martino in Grania emergono altri toponimi e luoghi come Locaia/Loccaia/Laccaio, La Canonica, Vignale, ValleBiene, Alcaggio, Santo Sane/Santo Sano, la Cerreta, La fonte, Montorso, Campigli, Setefonti. I più interessanti ci sono sembrati quelli che riconducono a poderi e luoghi ancora oggi esistenti e cioè San Sano, Campiglia, Montorso.
Nel 1366 ci furono alcuni raid da parte della Compagnia di Anechino di Bongardo che toccarono alcune località a sud di Siena tra le quali San Martino in Grania e Cun. Gli uomini di Anechino di Bongardo (all’anagrafe Hannekin Baumgarten), nell’occasione, sequestrarono degli operai nel villaggio di Cuna (dipendenti della Grancia), che vennero riscattati dall’ Ospedale senese per 31 fiorini ciascuno e misero a ferro e fuoco le zone circostanti . Una prova inconfutabile del raid di Anechino di Bongardo in quest’area, ci proviene da un documento dell’ Archivio Arcivescovile di Siena e precisamente dalla lettera del Pievano di S. Martino in Grania al Vescovo di Siena, dove egli chiede, in via eccezionale, di essere esentato dalle tasse per quell’anno (“licentia alienandi”), poiché aveva subito ingenti danni, compresa la bruciatura di una capanna.
Ma anche nel 1379 San Martino in Grania subì infiniti danni dalle incursioni di Carlo di Durazzo e nel 1409 da parte degli armati di Ladislao di Napoli, detto non a caso “Re guastagrano”. In quel periodo Ladislao fallisce la conquista del Castello di Percenna (vicino a Buonconvento) ed allora compie scorrerie nelle terre circostanti e, dopo aver distrutto il castello di San Fabiano (tra Monteroni e San Martino), che fu “abbruciato”, danneggia anche le campagne circostanti.
Nel 1409, nel Libro delle “Ecclesie episcopatus senen” possiamo vedere come il pievanato di San Martino, rispetto all’anno 1317, si era ingrandito risultando così composto: Plebes Sancti Martini in Grania – Ecclesia Sancti Iohannis in Muodane – Sancti Bartholomei de Leonina – Sancti Laurentii de Ripa – Sancti Michaelis de Ponzano – SS. Iacobi e Xpofori de Grania – Sancti Blaxii de Villa Nuova – Sancti Andree de Larnino de Medine
Nel 1432 San Martino subisce un altro durissimo attacco da parte del Capitano di Ventura Galeotto Ricasoli di Brolio, quando era al soldo della città di Firenze.
Nel 1433 il Pievano di San Martino in Grania, Messer Battista di Antonio, decide di diventare un parroco-imprenditore ed ottiene la licenza di aprire un’ osteria con camere. Questa licenza per uso “hospitium”, gli viene accordata dall’Ufficio di Gabella di Siena nel Settembre del 1433. Ma tra i pievani di S. Martino, il più famoso fu senz’altro Giovan Francesco Alberti detto ‘’Poetino’’, poiché si dilettava (con grandissimo successo) alla creazione di poemi e tragedie, tra le quali menzioneremo solo l’Oloferne, forse la sua opera più famosa. Fu incaricato presso le le Cattedrali di Chiusi, Massa, Grosseto e Montalcino e successivamente (1597) fu eletto Pievano di San Martino in Grania dove rimase fino al 1620.
Altre notizie sulla Pieve di San Martino. La chiesa, costruita antecedentemente al mille, è oramai in pieno degrado. Non c’è più il tetto caratteristico a navata unica e non c’è neanche più traccia delle antiche colonne e dei suoi capitelli che, nonostante i vari crolli, erano comunque ancora visibili. I numerosi rifacimenti e riadattamenti hanno poi nascosto la primaria struttura architettonica, ma con un po’ di attenzione e di osservazione si possono comunque cogliere alcuni segni del suo glorioso passato. Alcuni dettagli di travertino provenienti dall’antica torre campanaria ad esempio, sono stati riportati nel più recente campanile “a vela. Due portali originali sono ancora visibili nelle pareti laterali: il primo, entrando sulla sinistra, era una porta interna per passare dalla chiesa alla Canonica, mentre il secondo che costituiva un secondo ingresso esterno ed è ubicato sul lato opposto (a destra entrando).
Nel 1786, padre Guglielmo della Valle, scriveva che “Nella Pieve di San Martino in Grania, diocesi di Siena, vi è l’altare del Rosario dipinto da Francesco Vanni; la Vergine, San Domenico sopra le nuvole, S. Caterina e S. Orsola con alcuni angioli che scherzano con le corone in mano, sono belli assai. Monsignor Zondadari già Arcivescovo di Siena, raccomandava ai Pievani di quella chiesa di custodire questa pittura, come un tesoro; e il vecchio Pievano presente assicurommi di questa premura, che fa onore alla memoria di quel prelato”. Nella Parrocchia di San Martino in Grania, era nata sulla fine del 1500, una “Compagnia Laicale” sotto il titolo di “Maria Santissima del Rosario”. I suoi membri, maschi e femmine, si autotassavano e gestivano opere di carità, ma si occupavano anche di dare degna sepoltura ai defunti, di raccogliere elemosine, di dotare alcune fanciulle più povere, segnalate da una apposita commissione di confratelli. Avevano all’interno della chiesa il loro altare (sulla destra entrando), per il quale provvedevano sia nel tenerlo pulito, sia nell’arredamento e cioè nella dotazione di panni ricamati, ornamenti, fiori. Si occupavano anche di organizzare una volta l’anno la festa del Patrono.
Le notizie d’archivio iniziano a partire dal 1596 fino al 1743, ma la suddetta compagnia operò anche successivamente nonostante non ne abbiamo più la documentazione perché perduta.