di Augusto Codogno
SIENA. (Seconda parte) Eravamo rimasti al punto in cui il senese Giannino Baglioni, dopo essere stato informato sulla sua condizione di nascita dal tribuno romano Cola di Rienzo, si apprestava a rivendicare presso le corti europee il suo titolo di erede legittimo del trono di Francia, forte dei documenti di cui era entrato in possesso e dell’appoggio politico della nuova signoria romana. Ma subito dopo (8 ottobre1354), una congiura operata dalla famiglia Colonna mise fine alla vita del tribuno che avrebbe dovuto aiutarlo.
Il precipitare della situazione politica romana lo convinse a far ritorno nella sua città e sospendere temporaneamente i suoi tentativi diplomatici, ma delle sue rivendicazioni si era fatto carico anche un influente personaggio senese: frate Bartolomeo Mini dell’Ordine dei Predicatori.
Nel settembre 1356 Giannino era ancora in Siena e lo dimostra un documento autentico del 23 di quel mese (ASS, Diplomatico Patrimonio Resti Ecclesiastici, Compagnie, 1356, settembre 23).
In questo documento i coniugi Vanni di Ser Vanni e Cionella di Contro di Guido, volendo nel tempo rimanente della loro vita servire nell’Ospedale di S. Onofrio della Compagnia di S. Andrea nel Terzo di Camollia, donarono a Giannino di Guccio, in qualità di Priore della stessa e rettore dell’ospedale di S. Onofrio, una loro casa nel popolo di San Maurizio.
Solo quattro giorni prima (19 settembre 1356) di questa testimonianza documentale, presente nel nostro Archivio di Stato di Siena, si era svolta presso Poitiers una durissima battaglia che aveva visto soccombere il re francese Giovanni II sotto la scure inglese. Fu una sconfitta decisiva sia dal punto di vista militare che economico. Giovanni II fu catturato e la Francia costretta a pagare, in riscatto della sua vita, l’equivalente di due anni di tutte le entrate statali. Era un momento di sicura debolezza del trono francese e la situazione politica europea in fermento.
Frate Mini ne approfittò subito per rilanciare le sue accuse a Giovanni II, colui che pubblicamente definì l’usurpatore del trono di Francia. In un infuocato discorso ai senesi, disse che la sconfitta di Re Giovanni altro non era che una sconfitta divina per quell’uomo che usò usurpare il trono di Francia in modo meschino. In realtà l’usurpatore era suo padre e non lui, ma la maledizione, come si sa, ricade anche sulla progenie.
Dopo questo sussulto popolare, il Concistoro di Siena ed il Consiglio Generale ritennero di una qualche utilità politica affrettarsi a riconoscere le ragioni di Giannino Baglioni quale erede al regno francese e nominarono addirittura una Balìa per onorarlo e difenderlo. Cominciarono per Giannino una serie di viaggi in tutta Italia e in Europa (Cesena, Bologna, Venezia, Buda ecc…), dove ottenne solo alcuni parziali riconoscimenti.
Nell’ottobre del 1358 un altro documento (ASS, Archivio Riformagioni, Consiglio della Campana, ottobre 1358) ci rende noto che, essendo Giannino di Guccio Baglioni ormai da tempo fuori Siena per le note vicende, fu tolto “dalle ballotte pel Terzo di Camullia”, cioè non poteva più essere eletto nei maggiori organi dello stato senese, ma al contempo si ribadiva l’appoggio di Siena alla sua causa.
Giannino percorse molti stati. A Venezia ottenne dei finanziamenti cospicui dalla “nazione ebrea”, mentre a Buda fu riconosciuto ufficialmente come nipote da suo zio Ludovico, il fratello della regina Costanzia che gli donò una pergamena di accredito valida in tutti i regni cristiani (il documento, citato da molti scrittori, è indicato da più fonti come esistente anche in Siena, nell’Archivio Sansedoni/Libro degli Uffiziali/ foglio 41 che però non ho visionato).
Giannino era ormai diventato l’emblema di tutti coloro che, a torto o a ragione, non parteggiavano con il trono Francese. Lo scontro però non fu solo politico perché, dopo questo itinerante viaggio fatto di pochi riconoscimenti, molte titubanze e tantissime “non prese di posizione” di molti potentati, il re senese decise di passare ad azioni di forza.
Recatosi in Provenza (sul suolo francese) con un esercito di mercenari per lo più di origine inglese prese a scontrarsi con le truppe del re ed a conquistare castelli, tanto da far venir meno l’appoggio del Papa (in realtà aveva sembra finto un interessamento alla sua vicenda) che addirittura a quel punto mise una taglia sulla sua testa. Giannino, forte dell’appoggio del capitano di ventura De Vernay, occupò con i suoi Pont-Saint-Esprit nei pressi di Avignone.
A questo punto il papa indirizzò una lettera di fuoco al Re Ludovico e a sua moglie Giovanna regina di Sicilia, definendo Giannino come un pericoloso cittadino senese squilibrato, mosso a rivendicare il trono francese con “suggestione maligni spiritus”. Il sette gennaio 1361 Giannino fu catturato ed imprigionato, mentre il De Vernay avvelenato.
A Marsiglia fu processato e torturato fino ad estorcergli confessioni di sodomia e falso monetario, delitti che poi ritrattò. Alcuni mercanti senesi, che esercitavano a Marsiglia, ottennero che la sua prigionia fosse mitigata e che fosse condotto a Napoli, dove arrivò nel febbraio 1361 e dove fu rinchiuso nel carcere di Castel dell’Ovo. Da qui inviò numerose lettere al pontefice, alla regina e all’arcivescovo di Napoli, ma tutto risultò invano, comprese le richieste di alcuni illustre personalità e molti suoi concittadini.
Secondo la leggenda morì dentro questa prigione nel 1369, quasi dimenticato dal mondo ed è in questi lunghi anni di segregazione che scrisse la storia della sua vita.
In un documento importantissimo (Memorie secrete della Regina Giovanna, pag. 264), compilato dal cancelliere della sovrana, si notifica che nel 1362 un tal Giovannino “che da pazzia spinto s’era spacciato per re di Francia” si trovava effettivamente carcerato in Napoli “e fu dimandato per l’escarcerazione e consegna di esso alla regina di Napoli dagli ambasciatori e consiglieri de re francese Pietro vescovo di Nevers, Gualtieri di Chatillion e signore di Fertè ed Ivone Derian secretario suo. Ma Giovanna si scusò con quelli di non poter compiacere il Re, come havrebbe desiderato, perché ne avea dato parte al Pontefice senza il cui permesso non potea lei disporre del carcerato”.
Se la leggenda di Re Giannino assomiglia molto più ad un romanzo trecentesco che ad una storia realmente accaduta, non v’è dubbio che fu costruita assai bene perché comunque essa si aggancia a fatti realmente accaduti.
Mentre rimane assolutamente non provata la discendenza del Baglioni quale figlio legittimo del re di Francia, non v’è alcun dubbio che l’uomo Giannino di Guccio Baglioni di Siena è esistito e vissuto in Siena, come testimoniano decine di documenti. È anche provato che ad un certo punto questo personaggio fu convinto (o si autoconvinse) di essere l’erede del trono francese. Sono anche veri molti documenti che testimoniano queste sue rivendicazioni e il fatto che tentasse di riavere il suo posto sul trono di Francia.
Forse fu una congiura ordita dai nemici della Francia o forse il mercante senese si ritrovò volente o nolente nel bel mezzo di uno dei più grandi intrighi diplomatici di quel periodo. Fatto sta che qualcosa di clamoroso Giannino Baglioni tentò di farla. Della faccenda ne volle parlare infatti anche un illustre, “quasi contemporaneo” personaggio della letteratura italiana, quel Benvenuto da Imola che fu il primo commentatore di Dante Alighieri. Egli scrisse, a proposito della Sapia e dei “senesi gente vana”:
“Et sic tetigit Dante de vanitate Senensium… Sed quid dixisset poeta noster si vidisset non est diu Zaninum senensem, qui permisit sibi persuaderi tam facile quam vane quod erat rex Franciae? et iam dabat dignitates et promittebat officia, dimissa propria hereditate ei senesi”
E chi poteva essere questo “Zaninum senensem” se non il nostro Giannino senese?
(Fine)