Che hanno in comune San Galgano, San Guglielmo e Re Artù
di Augusto Codogno
SIENA, San Galgano, San Guglielmo e Re Artù: cosa hanno in comune questi tre personaggi? Sarebbe troppo facile dare la risposta più logica e cioè quella per cui i primi due sono realmente esistiti, mentre il terzo è frutto della fantasia e della letteratura medievale. Ma a volte l’immaginazione e la realtà hanno confini talmente labili che non si distinguono più l’una dall’altra ed è proprio per questo che sono affascinanti.
Il nostro racconto parte dalla campagna di Grosseto passando per quella di Chiusdino e finendo in Francia, senza dimenticare che stiamo parlando di un periodo storico (1150-1250) nel quale anche la geografia politica era molto diversa da quella attuale.
I luoghi toccati da questa storia sono la località di Malavalle, vicino a Castiglione della Pescaia, quella di Montesiepi presso Chiusdino e la corte francese di Eleonora duchessa di Aquitania (1122-1204) e di sua figlia Maria (Contessa di Champagne, 1145-1198).
Prima di teorizzare il collegamento di questi personaggi e di come probabilmente hanno influito sui primi racconti della celebre ”epopea arturiana”, bisogna collocarli cronologicamente ed inserirli con la maggiore precisione possibile nel tempo e nello spazio.
San Guglielmo di Malavalle (Francia, probabilmente Aquitania…- Castiglione della Pescaia 1157) Era un cavaliere di origine francese che, tornando a casa da Gerusalemme, dove aveva partecipato alle crociate, ebbe occasione di sbarcare a Pisa e decise improvvisamente di cambiare il corso della sua vita. Intraprese la via dell’eremitismo e della preghiera per espiare i propri peccati. Si fermò prima nei monti tra Lucca e Pisa e poi vicino a Volterra, dove cercò di formare e guidare alcuni giovani asceti, ma senza riuscirvi. Il suo rigore (e probabilmente il suo carattere) era tale che ovunque andasse finiva per inimicarsi gli altri eremiti. Alla fine arrivò solitario e ammalazzato nei pressi di Castiglione della Pescaia dove fu ospitato e curato da una famiglia del paese che, assieme al chierico Guido, tenutario della chiesa di San Nicola, riuscì a guarirlo e a incoraggiarlo a continuare il suo disegno. Si stabilì così in quello che veniva chiamato in quei tempi “lo Stabbio di Rodi” e cioè una valle rocciosa ed impervia distante poche miglia da Castiglione della Pescaia che allora, rientrava nei confini della Diocesi di Volterra e non era ancora territorio della Repubblica Senese. Questo luogo era talmente disagiato che veniva chiamato anche “Malavalle”, ma per un eremita era l’ideale ed è qui che volle costruirsi un “mapale modicum et tugurium vile” con l’aiuto dei nobili Lambardi da Buriano, vassalli della Curia Romana, e del sacerdote Guido di cui abbiamo già detto precedentemente. La leggenda più famosa a suo riguardo, narra che qui sconfisse un drago e come san Giorgio, nella iconografia postuma, egli verrà quasi sempre raffigurato mentre uccide la bestia con un bastone. Fino al 10 febbraio 1157, giorno della sua morte, egli visse qui, dapprima solo, poi, dall’Epifania del 1156, con il suo discepolo Alberto, al quale, poco prima della sua morte, si aggiunse un secondo compagno di nome Rinaldo.
La formazione dell’ Ordine dei Guglielmiti ebbe iniziò solo dopo la morte di Guglielmo da Malavalle, per merito dei suoi due discepoli, in particolar modo Alberto che ne trascrisse la vita e mise su carta i miracoli, l’esempio ed il rigore di Guglielmo. Ben presto l’odore di santità si diffuse ed i discepoli aumentarono fondando altre comunità e già nel 1211, nelle bolle papali che trattano dei Guglielmiti, si parla di “Ordo” e di “Regula” di S. Guglielmo. L’Ordine di San Guglielmo poi si espanse in tutta l’Italia Centrale ed anche nel nord Europa, ma la casa-madre rimase sempre a Malavalle. A metà del 1200 i Guglielmiti potevano contare su decine e decine di comunità, compresa quella della celebre Abbazia di a Sant’Antimo in Valle Starcia (diocesi di Montalcino).
Del passato di Guglielmo, ancora veneratissimo in Maremma (Tirli, Buriano, Castiglione…), si conosce ben poco, se non che fosse di origine francese e che, dagli esami dei suoi resti (ossa e cranio), risulta aver avuto una statura superiore alla media del tempo.
San Galgano (Galgano Guidotti, Chiusdino 1148 – Chiusdino, 30 Novembre 1181) Figlio di Guidotto e Dionigia (esponenti della nobiltà locale), ebbe una vita simile a quella di Guglielmo di Malavalle. Famiglia agiata, vita dissoluta, cavaliere che aveva anche combattuto in battaglia, al rientro dalla guerra ebbe la sua prima visione di San Michele Arcangelo, il santo patrono dei cavalieri, raffigurato sempre con la spada sguainata. Mentre la storia di Guglielmo di Malavalle era quasi sconosciuta, molto più famosa è quella di San Galgano per cui vi risparmierò pagine e pagine relative alla sua biografia. Chi volesse approfondire però, può leggersi la “Vita del gloriosissimo San Galgano senese da Chiusdino”, scritta nel 1577 da padre Gregorio Lombardelli da Siena ed oggi anche gratuitamente consultabile online (qui).
Ci sono due versioni diverse su come giunse nel luogo di Montesiepi, ma è qui che si fermò definitivamente e scelse di rimanere a pregare ed a condurre vita di penitenza per il resto della sua vita. Questa estrema decisione, coincide con il primo e più grande miracolo di Galgano e cioè dalla spada conficcata nella roccia, per confermare la sua rinuncia alla vita dissoluta ed il passaggio ad una vita di preghiera e penitenza. Naturalmente quella spada diventò anche la prima croce della comunità eremitica fatta da lui e da altre dodici persone che divennero i suoi discepoli. Sopra il suo primitivo ricovero, venne poi costruita la famosa chiesa detta oggi la “Rotonda di Monte Siepi” che conserva ancora oggi la sua spada conficcata nella roccia.
Alcuni studiosi hanno sostenuto in passato che Galgano e Guglielmo si siano incontrati, visto la vicinanza tra Malavalle e Montesiepi (30 chilometri o quaranta), ma ciò non può essere mai avvenuto perché quando Guglielmo moriva, Galgano aveva appena nove anni. Molto probabile invece che Galgano avesse incontrato i suoi discepoli e che forse erano guglielmiti anche quegli eremiti che già si trovavano a Montesiepi quando il santo senese decise di fermarsi in quel luogo.
Quando Galgano morì nel 1181, si cominciò a costruire la famosa “rotonda” in suo onore (1189), mentre la celebre Abbazia, nella pianura sottostante venne cominciata dai cistercensi nel 1218. Non sappiamo l’anno esatto in cui la spada fu conficcata nella roccia, ma considerato quello di nascita (1148) possiamo ipotizzare che avvenne dopo il 1166 (Galgano doveva almeno aver avuto 18 anni se era già stato fatto cavaliere ed aveva partecipato a battaglie!). Qualche anno fa, alcuni studiosi analizzarono il metallo della spada e confermarono che si trattava di un’arma risalente a quel periodo (XII secolo), quindi originale.
Adesso poniamoci la domanda: è possibile che questi fatti toscani abbiano influenzato gli autori del “ciclo arturiano”? La “spada nella roccia” potrebbe essere quella di San Galgano? Ovviamente non ne abbiamo la certezza, ma molti indizi confermerebbero che questo potrebbe essere stato possibile. Intanto Guglielmo e Galgano furono due cavalieri, come tutti gli eroi del ciclo arturiano.
Qualcuno azzarda addirittura che Galgano fosse stato un “Templare”, tanto che alcuni simboli di quest’ Ordine compaiono nella chiesa di Montesiepi, ma è anche vero che lì a due passi (zona Frosini) questi cavalieri avevano una loro Magione e che la “croce patente”, fu disegnata nella parete della suddetta chiesa posteriormente alla morte del santo, proprio perché, come detto sopra, la stessa chiesa fu innalzata dopo la di lui dipartita.
Il ciclo relativo ai Cavalieri della Tavola Rotonda nacque in Francia nel XII secolo, probabilmente grazie all’apporto dato dai trovatori, dai novellieri e dai cantatori che in quel periodo frequentavano le corti e godevano della protezione dei sovrani. Tra quei sovrani spiccava certamente Eleonora Duchessa d’Aquitania e Contessa di Poitiers (Bordeaux 1122-Fontevrault 1204). E’ universalmente riconosciuto che questa donna fu un’assidua mecenate dei trovatori ai quali offriva protezione per i loro servigi artistici. Furono questi novellieri che inventarono e trasformarono storie vere o verosimili in versi e racconti e non vi è dubbio che, il loro girovagare per le corti, fu anche un modo per far circolare la cultura e le notizie. Avranno certamente saputo dei miracoli e dell’uccisione del drago a Castiglioni della Pescaia da parte di Guglielmo, che tra l’altro alcuni vogliono imparentato con la duchessa ed infatti anche lui proveniente dall’Aquitania. Ed avranno anche saputo della spada nella roccia di Galgano, avvenimento accaduto proprio nello splendore degli anni in cui la duchessa Eleonora governava, anche se in Inghilterra. Eleonora infatti, dopo essere stata Regina consorte di Francia dal 1137 al 1152, divenne Regina consorte d’Inghilterra dal 1154 al 1189. Il miracolo di San Galgano avvenne quando lei era ormai una regina inglese, ma le corti francesi erano ancora nel loro splendore ed il suo mecenatismo nei confronti dei trovatori aveva proseguito con un’altra figura sostitutiva nella di lei figlia (avuta dal re francese Luigi VII) Maria detta Maria di Francia o Maria di Champagne (1145-1198).
Il mito di Re Artù ha origini anglosassoni e celtiche ed è molto più antico di questa epoca. Bisogna addirittura ritornare al tempo delle invasioni della penisola inglese da parte delle Legioni di Roma e ai guerrieri Samariti che al loro fianco combatterono e che furono ricompensati con terre in questo nuovo (allora) continente. Ma queste leggende, questi racconti, si limitano a parlare della figura leggendaria di Re Artù, senza affiancarla al mito della spada nella roccia.
Il ciclo letterario cosiddetto “bretone” ebbe il suo massimo esponente in Chrétien de Troyes (1135-1188 circa), scrittore francese che cita, nella seconda parte della sua opera “Perceval”, una spada miracolosa di un cavaliere di nome Galvano. Ora va da se che la “spada di Galvano” e la “spada di Galgano” potrebbero avere origine dalla diffusione del miracolo avvenuto a Montesiepi in un periodo nel quale, anche cronologicamente, Chrétien era vivo e vegeto. Sembra però che nel Perceval si parli solo di una spada miracolosa, ma non che essa fosse conficcata nella roccia.
La prima menzione di una “spada nella roccia” però è di solo pochi anni più tardi ed è di Robert de Boron (fine 1100-inizio 1200), poeta e chierico francese originario del villaggio di Boron, nell’odierno Arrondissement di Montbéliard e precisamente nella sua opera in ottosillabi intitolata “Merlin” (Merlino) che sembra essere stata partorita intorno al 1190, nove anni dopo la morte di San Galgano.
In realtà, le spade famose del ciclo arturiano sono due e ben distinte, quella che Artù sfila dalla roccia e quella che gli viene donata dalla Dama del lago. La prima corrisponderebbe alla nostra di Montesiepi, mentre la seconda, chiamata Excalibur è un’altra storia. Le analogie con la saga di Artù sono dunque molteplici: la spada nella roccia, dodici cavalieri come i discepoli di San Galgano, la Tavola Rotonda e la Rotonda di Montesiepi, un cavaliere di nome Galvano e soprattutto il periodo della sua prima apparizione nella letteratura francese corrisponde cronologicamente ed è posteriore ai fatti di Chiusdino.
Naturalmente gli scrittori d’oltralpe ne fecero un racconto, una leggenda, ne modificarono i contenuti, ma l’idea originale, probabilmente la copiarono da fatti e cose realmente accaduti qui in Toscana e giunti qualche anno dopo in Francia.