Lo sfruttamento del corpo femminile nella Siena antica
di Augusto Codogno
SIENA. Siamo agli inizi del 1300 ed un avvenimento importantissimo accade vicino alla nostra città, tanto da far balzare un piccolo paese come Buonconvento all’onore della cronaca in quegli anni e nei secoli successivi: la morte di Arrigo VII.
Dalle Cronache di Andrea Dei, ma anche da altre, sappiamo con certezza che Arrigo VII (o Enrico VII) morì in circostanze dubbie tra il 22 e il 24 Agosto del 1313 nell’ Ospedale vicino alla chiesa di S. Pietro a Buonconvento. Dalla stessa “cronaca”, sappiamo anche che il fatto avvenne nel giorno di San Bartolomeo. Alcuni cronisti parlano di morte dopo lunga febbre, altri più inclini alle losche trame, di avvelenamento da parte di un frate tramite un’ostia, ma qualcuno e non uno solo, ci fa capire che si trattò del degenerarsi di una malattia venerea, probabilmente “Gonorrea”, volgarmente detta “Scolo”. Consideriamo ad esempio questa ricostruzione : “La sua malattia gli cominciò a Brescia e guarì. E poi gli ritornò a San Salvo per cagione delle donne Fiorentine che divenne Etico”. In altri racconti si parla di “menagione”, ma molti storici convengono che “si tratti di malattia di femmine che altro non fusse che gonorrea”. Naturalmente da qui si capisce perché con il suo seguito si recò, prima della sua morte in Buonconvento, alcuni giorni alle Terme di Petriolo, già allora famose per le loro proprietà curative e per i loro salutari “sciaqui” per poi dormire a Stigliano e recarsi due giorni dopo in Val d’Arbia.
La prostituzione era largamente diffusa in quei secoli ed anche la nostra città brulicava di moltissime praticanti dell’ antica professione. Dal Diario di Girolamo Gigli, ad esempio, si riportano alcuni passi delle più antiche cronache del Buondelmonte secondo cui nel 1338 il Comune di Siena fu costretto a regolamentarne l’ esercizio. Si decise che il “mestiere” non poteva praticarsi dovunque, ma in specifiche, localizzate zone di Siena. Furono quindi scelte tre Vie, una per ogni Terzo della Città e precisamente: Vallepiatta per il Terzo di Città, ValdiMontone per il Terzo di San Martino e Campanzi (Campansi) per il Terzo di Camollia.
Ad inizio del 1400 (1427), le meretrici o donne di malaffare, sono spesso nominate nelle prediche in volgare che San Bernardino faceva la mattina presto in Piazza del Campo, davanti ad una vastissima folla. Ne ricordiamo una in proposito: “Io ho udito cose che sarebbe da gridare *accorr’ uomo* inverso d’alcuni che sono tanto smemorati e impazzati, e in una fantasia tanto pessima, che dicono che la fornicazione e l’andare alle meretrici non è peccato mortale, e non veggono come l’ Idio l’ha comandato, e dannoli contra. Non disse Idio nel sesto comandamento: Non Mechaberis?”.
A qualche secolo successivo appartengono invece le diverse “iscrizioni lapidee”, ancora oggi visibili nel nostro centro storico, che ci confermano come le Istituzioni abbiano sempre cercato di regolamentare un fenomeno di costume tanto diffuso, da non poter certamente essere eliminato.