di Augusto Codogno
SIENA. Approfittando dell’occasione della mia recente pubblicazione del volume sulla biografia storico-artistica di Domenico di Bartolo di Ghezzo, contenente un bellissimo saggio storico di Mario Ascheri e l’autorevole prefazione di Vittorio Sgarbi, vorrei parlarvi di questo pittore del quattrocento, poco conosciuto al grande pubblico, ma di notevole rilievo.
Domenico di Bartolo di Ghezzo nacque ad Asciano nei primi anni del XV Secolo, probabilmente tra il 1400 ed il 1404, ma la sua esatta data di nascita è tuttora sconosciuta in quanto i libri contenenti gli atti della sua chiesa battesimale (S. Agata), mancano.
La provenienza non è assolutamente da mettere in dubbio in quanto numerose pergamene lo indicano come “ascianese” (anni 1428, 1435, 1437, 1439, 1440, 1447) ed anche suo padre, Bartolo, è attestato in Asciano nel 1404.
La sua carriera cominciò all’interno dei cantieri del Duomo, come “garzone” intorno agli anni venti di quel secolo per poi essere iscritto nel 1428 al registro dell’arte dei “dipintori” di Siena.
La sua carriera artistica cominciò dunque all’interno del duomo, anche se i suoi primi capolavori conosciuti (1430-1433), vennero eseguiti per altre committenze (Madonna di Washington, Madonna dell’Umiltà e Madonna dell’Assunzione).
Del 1434 è la tarsia di Sigismondo Imperatore per il pavimento del Duomo di Siena, alla quale seguì il ciclo di affreschi dei Santi Patroni nella Sagrestia, ai tempi della sovrintendenza di Jacopo della Quercia e dei quali purtroppo rimane un solo lacerto dei quattro originali.
Del 1438 è il Polittico di Santa Giuliana su fondo oro, fatto per un convento perugino.
Tralasciando alcune opere scomparse, come la “Madonna di Asciano”, attestata in un contratto del 1437 stipulato tra Domenico e i frati del Convento di S. Agostino di quella cittadina e probabilmente anche le altre due madonne che sono oggi negli Stati uniti, il suo grande e riconosciuto lavoro artistico fu quello che tra il 1440 e il 1444 lo vide all’opera nelle sale del “Pellegrinaio” del Santa Maria della Scala. Sei degli otto affreschi ordinati dal rettore Buzzichelli per riabbellire quelle stanze sono opera sua, mentre gli altri due sono uno di Priamo della Quercia, (fratello di Jacopo e suo aiutante) ed uno di Lorenzo Vecchietta.
Nello stesso periodo dipinse anche, sempre dentro all’Ospedale grande di Siena, la “Madonna del Manto” ed altri drappi scomparsi. Sono gli anni nei quali forse dovrebbe aver disegnato alcune miniature per un libro ecclesiastico di canti e preghiere: il “Graduale di Pomarance”, che come dice il nome, è attualmente nel museo diocesano di quella località, ma che rimase incompiuto. Nel 1445 una sua opera nel Palazzo Comunale di Siena, (l’incoronazione della Vergine), fu terminata da Sano di Pietro, segno che l’artista era in precarie condizioni di salute se non addirittura morto.
La sua dipartita è però certificata dai documenti solo nel 1447 quando sua moglie Antonia Pannilini viene indicata come la vedova del pittore Domenico di Bartolo in un contratto di affitto di un podere di sua proprietà. Questa fu in sintesi la sua breve vita, da me ripercorsa con la cronologia dei documenti e delle opere, ma nel mio libro vengono affrontati anche altri aspetti meno noti della sua vita privata, delle sue parentele vere e presunte, del contesto senese nel quale Domenico si ritrovò ad operare.
La mia ricerca si spinge oltre il certo, indagando sulla famiglia del pittore ascianese, con il ritrovamento di un documento del 1404 che riguarda suo padre, su quella della sua sposa (i Pannilini), ricostruendo legami di sangue e di potere e su quella presunta di Domenico di Bartolo che ipotizzo essere stata un “ramo” della famiglia Borghesi. I Ghezzi infatti discendevano proprio da questa importantissima famiglia senese, tanto da presentarsi a partire da quei secoli, con l’identica “arme” raffigurante un drago, nella iconografia cittadina e negli stemmi del Concistoro e della Biccherna.
Le mie ipotesi, altamente e riccamente circostanziate, ci fanno conoscere uno spaccato cittadino nel quale Domenico di Bartolo era ben inserito e che vedeva nella famiglia Petrucci il centro della vita politica e culturale di quei decenni. Accanto ai Petrucci infatti, ruotavano una serie di dotti e potenti personaggi, i quali disquisivano di lettere, di arte e di politica, fomentando un neo-ghibellinismo trasversale alla società del tempo e favorendo gli artisti più vicini al loro cerchio magico.
La recente guerra con Firenze (con il sempre fedele appoggio ai lucchesi) e le conseguenti problematiche (mai del tutto risolte) con il Papato, furono soltanto uno dei modi nel quale Siena cercò di mantenersi come seconda ed alternativa leadership in toscana, sapendo che ormai Firenze stava per prendersi il primato politico ed economico. E così fu anche negli altri campi come quello universitario ed artistico dove rimase per molti decenni ancora competitiva grazie anche ad artisti come Domenico di Bartolo.
Ma un libro di oltre cento pagine non posso spiegarlo in due e così spero che chi è interessato venga alle presentazioni che via via faremo in giro per la Toscana. Si parte da quella del 20 aprile a Monteroni d’Arbia, per proseguire il 5 maggio ad Asciano.