Senesi "gente vana"? La spezieria un po' meno...
di Augusto Codogno
SIENA. Che Dante Alighieri avesse avuto a che fare direttamente con Siena ed i suoi abitanti, è un dato ormai acquisito da parte di tutti gli studiosi e letterati. Non è di poco rilievo anche quello che il poeta ha scritto sui senesi. Nella “Divina Commedia” ad esempio, alcune cose riguardanti la nostra città, o persone riconducibili ad essa, sono citate almeno una ventina di volte. Da altre fonti sappiamo anche della sua amicizia con Cecco Angiolieri, che conobbe personalmente, ed abbiamo persino testimonianze di suoi passaggi e soggiorni in Siena intorno all’anno 1300. Dal Boccaccio sappiamo che l’ Alighieri studiò Ortografia dai senesi, da altre fonti storiche che vi abitò diversi mesi tra il 1302 ed il Novembre 1303, quando, ormai esiliato da Firenze, vi lasciò il figlio Pietro a studiare Grammatica (oggi si direbbe Latino) e se ne andò ad Arezzo. Sembra che vi ritornasse nel 1305 per riprendere il figlio e portarlo a Bologna. Era in quei tempi, almeno dal 1293, un famoso Maestro in Siena, che insegnava la Grammatica ed era famosissimo e stimato in ogni parte della penisola, tanto che vi andavano a lezione studenti di famiglie importantissime e blasonate. Il suo nome era Maestro Tebaldo e forse fu proprio questi il suo docente.
Sempre dal Boccaccio e dal Piccolomini, abbiamo citazioni di Dante che soleva andare a leggere libri presso una Spezieria vicino a Piazza del Campo. Da studi compiuti intorno al 1870, si ritiene di aver individuato fisicamente questo “negozio” vicino a Porta Salaia e a Palazzo Cerretani e cioè alla “Costarella”.
Il rapporto di Dante con la nostra città è implicito nel modo nel quale definisce i senesi: “gente vana”. Questa sua affermazione gli costò per secoli l’inimicizia e l’ antipatia di molti nostri cittadini, ma a ben rifletterci non è nulla nei confronti di quello che riserva, in termini di espressioni, ad altre realtà toscane a noi vicine, alle quali non risparmia definizioni molto pesanti e offensive, come ad esempio verso Pisa e verso la sua stessa Firenze.
Tra i senesi citati nella Divina Commedia dal sommo poeta, ci sono alcuni personaggi che con il tempo hanno perso d’importanza storica, mentre altri sono rimasti nella memoria collettiva con maggior fortuna. Tra i meno conosciuti c’è tale “LANO”, probabilmente appartenente alla famiglia dei Maconi, il quale si lancia contro morte sicura nella battaglia di Pieve al Toppo, vicino ad Arezzo, nel 1287, ma anche “ALBERO da Siena”, ritenuto da tutti figlio del Vescovo Buonfigliolo, ma da quest’ultimo spacciato, per ovvi motivi, per nipote. Un po’ più famoso, altro personaggio della Divina Commedia dal nome di “CAPOCCHIO” (Canto 29, verso 134), compagno di Dante. Non conosciamo bene per quale motivo questo Capocchio tradisce la fiducia del poeta. Dagli atti sappiamo invece che fu un falsificatore di monete e che fu condannato al rogo (Biccherna, Agosto 1293).
Ben più note invece le vicende della “BRIGATA SPENDERECCIA”, altrimenti detta “godereccia” o “spendarina”. Nella Divina Commedia vengono citati come un gruppo di giovani benestanti senesi che dissiparono in poco tempo tutti i loro averi in cibo, donne e giuoco (aggiungerei anche droga). Tra i componenti della godereccia Brigata, spicca il nome di Niccolò, sicuramente un Salimbeni e, leggendo la terzina che lo riguarda “ Niccolò che la costuma ricca / Del Garofano prima discoperse / Nell’ Orto dove tal seme s’ appicca”, possiamo ben dire che si tratta di droga. La famiglia Salimbeni infatti, fu la prima a importare dall’ Oriente tale usanza. Anche la parola “orto”, non è da intendersi se non “Oriente” ed è proprio da qui che proviene il seme del “garofano”. La famiglia Salimbeni era in quei tempi quella che aveva maggior commercio con i paesi orientali e non era sicuramente difficile per Niccolò procurarsi tale sostanza. Altro membro della Brigata nominato da Dante fu “Stricca”, quasi sicuramente della Casata Tolomei, ma difficilmente individuabile perché nello stesso periodo si ritrovano contemporaneamente ben tre o quattro Tolomei con lo stesso nome. Anche in anni successivi il nome Stricca compare spesso e volentieri nei vari rami della nobile famiglia. Un altro componente della banda fu un certo “Caccia d’Asciano”, proveniente dalla Casata dei Cacciaconti o Scialenghi, signori e nobili originari di Asciano che si erano sottomessi a Siena.
Altra persona citata dall’Alighieri nella sua opera fu tale “ABBAGLIATO”, senese della famiglia dei Folcacchieri, che in realtà si chiamava Meo e fu figlio di Ranieri Folcacchieri, quindi “abbagliato” fu un soprannome. Di lui si sa che realmente, nel 1297, fu membro del Consiglio della Campana.
Citato dal poeta anche “UMBERTO ALDOBRANDESCHI”, che in realtà era “senese” solo per essersi da poco, assieme alla sua nobile stirpe, sottomesso a Siena, con i suoi castelli, tra cui più noto fu quello di Campagnatico (GR). Egli fu vigliaccamente ucciso da alcuni giovani senesi, per ira o per vendetta, che gli tesero un agguato travestiti da frati.
Molto più noto, senza dubbio, fu “GHINO DI TACCO”, masnadiere e furfante, ma con un indole di gentiluomo. Passato alla storia come un “Robin Hood”, nella realtà, ci sono pochi atti sul suo conto. Molto probabilmente la sua fama si deve solo alla leggenda, mentre con sicurezza possiamo affermare che provenisse dalla famiglia nobile dei Della Fratta e che avesse beni a Torrita e Sinalunga. Lo provano alcuni documenti nell’ Archivio di Stato di Siena (Consiglio della Campana, N. 52, 106, 108, 109 – anno 1297). Questo, come lo definisce l’ Ottimo, fu conosciuto come un “Rubatore” e morì assassinato da sicari presso Sinalunga.
Nella seconda parte vi parleremo di : Provenzano Salvani, di Fontebranda, della Battaglia di Colle Valdelsa, della Pia de’ Tolomei, di Pier Pettignano, della Diana, di Sapia e della battaglia di Monteaperti.
(1. continua)