di Augusto Codogno
SIENA. Stavolta voglio raccontarvi una storia che riguarda un luogo magico, ora compreso nel Comune di Montalcino e che un tempo fu un castello della repubblica senese. Fondato dai Cacciaconti sul finire del XII secolo fu possesso di tante famiglie senesi blasonate, forse le più importanti: Giuseppi, Gallerani, Salimbeni, Piccolomini, Tolomei, Marescotti, Del Cotone, Borghesi, Malavolti-Del Benino, senza tralasciare quella dei Biondi (poi Biondi-Santi) il cui possesso fu più recente (XIX secolo), che però aveva origini volterrane.
Agli inizi del 1200 Castiglione era già testimoniato nei documenti come torre e castello e, nella seconda metà di questo secolo, dotato di ben due chiese di cui una era Pieve. In zona Agresto, ancora rimangono dei resti di quella che fu la Pieve fortificata di S. Michele Arcangelo a’ Monti, la cui torre (la stessa della chiesa o una ad essa molto vicina) fu distrutta in almeno un paio di eventi bellici avvenuti nel secolo XIV. In quello che oggi viene chiamato “Borgo di Castiglion del Bosco” invece, ancora resiste la vecchia chiesa del duecento ed i resti di una struttura fortificata, anch’essa con torre e cinta muraria, da sempre considerata il vero e più grande “Castello”.
Il toponimo di questo luogo, che già di per sé rende bene l’idea della folta vegetazione nel quale è immerso, è in realtà abbastanza recente e lo troviamo solo a partire dal seicento, mentre i documenti anteriori lo ricordano come “Castillione Longombrone” o “Castillione iuxta Umbronem”. Ed infatti sotto la collina dove sorge l’antica fortezza, scorre il fiume Ombrone, importantissimo torrente che da sempre, nel bene e nel male, è stato in correlazione con gli uomini di queste terre.
La zona fortificata più in alto, dopo aver subito ben due distruzioni, fu pian piano abbandonata e lasciata al suo destino, mentre il castello più in basso (l’attuale), fu ripopolato demograficamente e divenne uno dei tanti “Comuni” del contado senese. Anche la Pieve di S. Michele detta “ai monti”, perse pian piano di importanza ed il suo titolo fu traslato in quella del borgo che ne assunse l’incarico. Nella vecchia pieve ebbe ancora ragione la compagnia laicale di San Michelangiolo a’ Monti (nata nel 1583), che vi aveva sede, vi faceva dire qualche messa e vi organizzava una processione annuale con un percorso di un paio di chilometri che la collegava all’altra. Ma a fine settecento (1785), dopo richiesta del parroco di Castiglioni e dopo una relazione fatta dal parroco della chiesa vicina di S. Andrea ad Abbadia Ardenga, Monsignor Borghesi, arcivescovo di Siena, decise per la definitiva sconsacrazione di quella pieve, ridotta ormai a rudere. Delle due chiese testimoniate a “Castiglioni iuxta Umbronem”, nei documenti della seconda metà del duecento, una era detta “Canonica di S. Michele Arcangelo”, mentre l’altra “Chiesa di S. Stefano de Costa”. Ho evidenziato nei miei recenti studi su questa località, che la chiesa di S. Stefano nel borgo è la stessa che poi diventò Pieve al posto di quella vecchia sui monti.
Ed è proprio in quest’ultima che nel 1345 il pittore Pietro Lorenzetti, fratello del più celebre Ambrogio, dipinse un bellissimo affresco dietro l’altare maggiore. Si tratta di una “Annunciazione” tra le più belle del pittore, che fu tra l’altro molto prolifico e che aveva dipinto anche in altre chiese della zona tra le quali quella di Castelnuovo Tancredi. A destra sono raffigurati i Santi Michele Arcangelo, Bartolomeo e Francesco d’Assisi, mentre a sinistra S. Antonio Abate, Giovanni Battista e Stefano. Non a caso S. Stefano e San Michele Arcangelo erano le intitolazioni delle due chiese di Castiglioni.
Sulla data di esecuzione non ci sono mai stati dubbi in quanto fu dal Lorenzetti scritta alla base dell’affresco ed è ancora visibile abbastanza perfettamente. Sull’attribuzione del dipinto (a partire da quella del Brandi del 1931) c’è sempre stata concordia tra i vari esperti.
È l’ultima opera attribuita a questo artista che intorno al 1350 scomparve e non se ne conoscono altre posteriori. Pur non essendo riuscito a ritrovare alcuna documentazione sul dipinto di Castiglion del Bosco, ho sempre pensato che la committenza fosse quella del Vescovo Donusdeo Malavolti, che qui aveva dei possessi sia di famiglia che legati al vescovado. Per lui tra l’altro il Lorenzetti aveva già lavorato nel Duomo di Siena e questa chiesa fu ricompresa in quei secoli nella pievania di S. Innocenza, retta per diverso tempo da un Malavolti. Molte dunque le strade che porterebbero ad possibile contratto Malavolti-Lorenzetti, ma un’altra ipotesi mi è balenata in testa dopo aver osservato l’affresco molto da vicino.
Ai piedi della Madonna (in basso) infatti è stato disegnato dal Lorenzetti, apparentemente senza significato con il resto del lavoro, un “nodo di Salomone”. Fu un simbolo antico tornato particolarmente in voga nella pittura del tardo medioevo, usato da Giotto, Piero della Francesca, poi da Raffaello e Leonardo, ma la particolare caratteristica di questo periodo è che si ritrova quasi sempre in concomitanza con le immagini della Madonna, tanto da poterlo dire a tutti gli effetti un “simbolo mariano”. Non mi addentrerò nei mille significati che gli attribuiscono gli esoteristi, o gli appassionati di numerologia, di astrologia eccetera, ma mi limiterò a dire che questo nodo di Salomone è presente nell’Annunciazione di Castiglion del Bosco. Un’idea particolare però non mi si toglie dalla testa.
Nel 1337 questo castello, l’adiacente borgo e la chiesa, furono acquistati in blocco da un Piccolomini che, per ribadirne il possesso, fu costretto ad un’azione di forza nei confronti dei soldati inviati in loco da Donusdeo Malavolti vescovo di Siena. Il fatto d’armi avvenne in quanto, dicono le cronache, i Malavolti rivendicavano avere alcuni diritti in Castiglion dei Boschi (Alessandra Carniani in “I Salimbeni, quasi una signoria: tentativi di affermazione politica nella Siena del ‘300, Editore Protagon, 1995. Vedi anche G. Antonio Pecci “Storia del vescovado della citta di Siena, unita alla serie cronologica de.”, Edito nel 1748 in Lucca, p. 271. Altra cronaca in Orlando Malavolti “Historia di Siena”, Seconda Parte, Ed. in Venetia, 1599, p. 99). Ebbene: questo personaggio era Salomone di Bartolomeo Piccolomini.
Dando per vero l’episodio, supportato anche da altri documenti da me prodotti, da quella data (1337/1338), Castiglion del Bosco risulta effettivamente di proprietà di Salomone Piccolomini. Potrebbe essere lui il committente dell’affresco del Lorenzetti che fu fatto solo sette anni dopo la compera del castello ed il “nodo di Salomone”, una semplice ed esplicita dedica dell’artista a chi pagò quella bellissima opera.