L’Elsa e la Staggia pullulavano, a metà del tredicesimo secolo, di mugnai
di Augusto Codogno
POGGIBONSI. Tra le tante carte degli archivi toscani, mi è capitato di imbattermi spesso in alcuni contratti riguardanti i mulini che, nella nostra Provincia, erano veramente numerosissimi. Così, tanto di quelli della Val d’Arbia che di quelli della Val di Merse, molti storici ed appassionati hanno scritto, compreso me, ma poco si sa di queste strutture molitorie per quanto riguarda la Val d’Elsa. In particolare, l’Elsa e la Staggia nei pressi di Poggibonsi pullulavano, a metà del tredicesimo secolo, di Mulini.
Inutile soffermarsi sull’importanza in quel tempo di queste strutture che garantivano la produzione di farina per la popolazione locale e quindi il pane, anche se in realtà si macinavano anche altri prodotti in quantità minore. Va da sé che ogni comune ne aveva a cuore le sorti e ne teneva di conto poiché da essi dipendeva una bella fetta di economia locale ed era importante avere scorte di farina per eventuali guerre e carestie. Così gli approvvigionamenti di frumento e dei suoi derivati costituivano una normalità per ogni amministrazione che si rispettasse, la quale cercava di indirizzare anche la domanda e l’offerta calmierando il prezzo di quello che era allora il bene alimentare per eccellenza.
A volte infatti si arrivava a ritoccare o immettere tasse sul pane e sulla farina ed altre invece, si toglievano per evitare sommosse popolari. Non era raro che, in occasione di assedi o grandi carestie, si desse fondo alle scorte dei magazzini ed alla distribuzione gratuita, per evitare gli assalti del popolo affamato. E poi c’erano gli enti assistenziali come i monasteri e gli ospedali che in alcune occasioni distribuivano gratuitamente il pane ai poveri. Insomma il mulino era una vera e propria istituzione.
E così anche il Comune di Poggibonsi, che allora (XIII sec°) era chiamato di Poggiobonizzi, o più esattamente “Podioboniçi”, in materia di mulini deliberava spesso. In modo particolare, a partire dal 1270, sembra aver dato il via ad una operazione di acquisizione di tutta una serie di mulini sul fiume Elsa e sulla Staggia in modo da garantirsene in tutto o in parte la proprietà. L’area sulla quale si concentrava il maggior numero dei mulini era denominata “Poggiosecco” ed i mulini in quel periodo avevano in genere più di un proprietario. Tutto ciò lo si evince da una pergamena del Marzo 1269, quando il Comune di Poggibonsi, riunito in assise nella vecchia chiesa di S. Maria è chiamato a deliberare sulla taglia di molti suoi concittadini fatti prigionieri dai fiorentini e in attesa di liberazione. A tale scopo i figli di alcuni di loro (tra cui spiccano alcuni cognomi importanti), sono chiamati a vendere delle quote di un certo numero di mulini posti proprio in questa zona. Tra i vari proprietari emerge il già conosciuto Ospedale di San Giovanni Gerosolomitano di Poggibonsi, ma anche la famiglia Riccomanni, Benincasa, Bigetti e Vitelli. Il tutto scritto e validato dal notaio Ranieri di Bonaccorso di Tellino.
Nel 1271, troviamo che uno di essi, Catalano Riccomanni è anche il “Sindico” di questa Comunità. Ma è a partire dagli anni 90 di questo secolo che cominciamo a trovare molti contratti sui mulini di Poggibonsi. Nel Gennaio del 1292, per 27 lire e 17 soldi, il Comune di Poggibonsi compra da Nuto di Corbione la metà di un mulino posto sul fiume Elsa in località “Poggiosecco”. Il 24 febbraio dello stesso anno il sindaco di Poggibonsi si scatena promettendo di pagare 13 lire e 18 soldi a Guarduccio di Seta per la quarta parte di un mulino posto a Poggiosecco. Sempre nel medesimo giorno, promette ai fratelli Ventura e Cino, figli di Guidalotto, 26 lire e 15 soldi per la metà di un altro mulino nello stesso luogo e a Cecco di Mannuccio 60 lire per un intero mulino sempre nello stesso posto.
Nell’Aprile del 1293, nella casa nuova del Comune, nel cosiddetto Borgo Vecchio (Poggibonsi bassa), tramite un atto del Notaio Guido del fu Tebaldo, ci si accorda con i Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, che avevano la loro sede nella Magione, per un paio di questi mulini sull’Elsa. In particolare, il nostro Comune, permuta con il Precettore della Casa del Ponte dello Spedale di S. Giovanni di Gerusalemme, tale Frate Pace di Asciano, due mulini rovinati posti sul fiume Elsa in luogo detto Poggiosecco ed un altro mulino atto a macinare sempre nello stesso luogo. In cambio, ai frati gerosolomitani, viene data in baratto una vigna con casa posta nel distretto di Poggibonsi, nella contrada di Megognano (“Migugnano”), descritta nei suoi confini. Poco dopo, sempre nel 1293, il comune acquista per 35 lire e 15 soldi la metà di un altro mulino sull’Elsa, sempre a Poggiosecco, da tale Guido di Corbione ed un’altra metà da Lambertesca, moglie del Notaio Bartalo per 17 lire e 17 soldi.
Nel 1299 abbiamo una pergamena dove sono riportate tutte le ricevute di Pagamenti fatti dal Comune di Poggibonsi al Comune di Firenze a riguardo delle macine dei mulini.
Ma per essere più precisi andiamo a vedere le carte del 1305. Nell’Ottobre del 1305 il Comune di Poggibonsi possedeva ben 23 Palmenti di Mulini sull’Elsa e ciò è dimostrato dalla richiesta degli “Ufficiali di tutte le Gabelle” del Comune di Firenze che, visto l’ammontare del possesso, chiedevano una tassa corrispondente per 8 di questi. La tariffa era di 20 moggia di grano per ogni palmento, ma in quell’anno venne tenuto conto che 15 dei 23 palmenti erano stati danneggiati dalla guerra ed in particolar modo erano stati “abbruciati”.
Ora va accennata brevemente la differenza tra “Mulino” e “Palmento”. Sembra che in questa pergamena si usi indifferentemente la parola “palmento” al posto di “Mulino” e che quindi i mulini del Comune di Poggibonsi fossero addirittura 23 in totale. Non ne sono sicuro, ma studiando i mulini della Val d’Arbia, ed in particolar modo quelli di proprietà della Grancia di Cuna, emerge che non sempre ad un palmento, corrisponde un Mulino. Per Mulino si intende in genere e più correttamente tutta la macchina molitoria compreso il fabbricato che la racchiude, qualunque sia il numero delle ruote o dei palmenti che la compongono.
Per palmento invece, si intende la coppia di macine con le sue pertinenze, senza gli organi motore. Così, per capirci, il mulino di Monteroni, costruito a 4 palmenti, macinò quasi sempre a 2. Se andiamo a vedere in Val d’Arbia, la media dei palmenti per ogni mulino era “due”. Esportando le nostre deduzioni su Poggibonsi, i 23 palmenti potrebbero indicare la presenza di una decina di mulini.
Ammesso e non concesso che mi sia avvicinato molto alla verità, bisogna considerare che stiamo parlando solo delle strutture di proprietà della Comunità valdelsana, ma bisogna considerare che ce n’erano anche altre private, di famiglie importanti, di monasteri, di enti, quindi la stima sul numero dei mulini può senz’altro considerarsi in difetto. La particolarità dei mulini di Poggibonsi che mi ha colpito molto però, era quella di insistere e concentrarsi in una zona ben determinata: Poggiosecco sull’Elsa. Non sono riuscito ad individuare di preciso il luogo, anche se credo, confortato da documenti successivi, che si tratti del tratto ancora oggi denominato “Elsa Morta” ed in particolare, del punto dove comincia Via Piave e dove un paio di mulini hanno resistito fino allo scorso secolo.
Ai Poggibonsesi auguro di approfondire questa mia ricerca.