di Augusto Codogno
SIENA. Molto spesso, a proposito della cosiddetta “Guerra di Siena”, del lungo assedio culminato con la caduta della città (per fame), si è parlato e scritto molte cose al limite del leggendario. A volte, anche le storie che si sono tramandate nel tempo, hanno finito per corrompere la verità su alcune vicende di quel periodo e di quel contesto. Per fortuna, una discreta quantità di documenti e di cronache, provenienti da entrambe le parti in guerra, hanno permesso di ricostruire e di avvicinarsi molto alla verità storica, pur con sfumature diverse, a seconda dello schieramento del cronista.
Questa volta parleremo invece di un fatto che, contrariamente alla prassi, credevasi leggenda mentre invece era cruda realtà. Ebbene sì! Cosimo de’ Medici voleva, ma non ci riuscì, avvelenare i senesi.
Il dottor Lorenzo Cantini, nella sua “Vita di Cosimo de’ Medici Primo Granduca di Toscana”, edita nel 1805, fu uno dei primi a documentare questo avvenimento, pubblicando alcune lettere originali del sopracitato Duca. Quella che estrapoleremo e che ci interessa è datata Primo Maggio 1554 ed è indirizzata a quel Bartolomeo Concino, giureconsulto e segretario particolare di Cosimo, che giornalmente lo tiene informato sugli sviluppi bellici della guerra e dell’assedio senese.
Riportiamo in estratto l’originale della lettera di Cosimo a Bartolomeo Concino:
“Messer Bartholomeo nostro carissimo: Per risposta della Vostra Lettera di hieri con la quale ci scrivete che havendo trovato e Lavoranti (i lavoratori) Todeschi (tedeschi) molta Acqua nella Contramina del Prato di Camollia, lasserebbono star quella parte et si metterebbono a lavorare a un’altra per render sicuri i Forti da ogni banda (parte).
Habbiamo a dirvi che il lavorare in altra parte per sicurezza de’ forti, non ci dispiace, ma giudichiamo bene expediente et molto opportuno il seguitare di lavorare in detta Contramina del Prato per trovar maggiormente l’Acqua; perché potrebbe esser facilmente che questa fusse l’Acqua che va nella Città a Fonte Branda il che si può conietturare (congetturare) dallo intendersi, che l’acqua di detta fonte esce fuor torbida, causato forse dal lavorare in detta Contramina del Prato, et quando ò l’Acqua trovata in detta Contramina fosse quella che và a detta fonte, o in altra parte della Città si potrebbe far opera di divertirla (deviarla), et levarla, o almeno di corromperla, et guastarla il che seguirebbe facilmente col mettervi del grano **, et sarebbe di gran nocumento et danno alli nimici e quali si sa che patiscono assai dell’acqua et ognuno sa che l’exercito di Mons. Di Lutrech capitò male per l’acque che erano state guaste nel Regno di Napoli. Però avertirete il Marchese et fate opera che si seguiti detto lavoro per uno delli duoi (due) effetti sopradetti, ordinando da nostra parte a Maestro Davitte, che ci mandi un poco di schizzo del luogo dove si lavora in detta Contramina perché alla ventura potremo dar qualche lume di detta acqua, la quale vogliamo credere che sia la medesima, che è a piè del forte e che caschi dentro la Città in Fonte Branda”.
L’avvelenamento dell’acqua con il grano era un metodo abbastanza diffuso e conosciuto, tanto che ci sono diverse notizie, anche in epoche precedenti, di tentativi più o meno riusciti. Anche nella storia di Siena si parla ripetutamente di grano gettato nei pozzi per “dar guasto” o di tentativi di avvelenare gli eserciti (anche quello delle compagnie di ventura), ma non conosco bene il meccanismo. Forse si trattava di graniglia velenosa che gettata in acqua la corrompeva al punto di divenire letale? Sarei curioso, e credo anche voi, di saperne qualcosa di più; dunque chi lo sa, commenti l’articolo e ci illumini.