Il morbo provocò migliaia di vittime
di Augusto Codogno
SIENA. Tra tutte le malattie che colpirono nell’antichità il genere umano, la peste fu senz’altro una delle più sconvolgenti, almeno per quel che riguarda Siena ed il suo territorio. Migliaia di vittime furono mietute da questo flagello incurabile che si abbatté diverse volte sul nostro territorio; ma la storia ci ha narrato maggiormente, forse perché più epocale per numero di morti, di quella avvenuta nel 1348.
Dalla “Cronaca Sanese di Andrea Dei Continuata da Agnolo di Tura” (dall’anno 1186 al 1352), abbiamo una interessantissima descrizione della situazione di Siena al tempo della “Peste Nera”.
Era Agnolo di Tura, il cui vero nome sembra essere stato Agnolo di Bonaventura detto “Il Grasso o il Grosso”, testimone vivente degli avvenimenti di quell’anno. Anche se per alcuni egli fu solo un “Copista”, a lui si deve una delle pagine più significative della descrizione della Peste del 1348, probabilmente la più devastante per la nostra città, anche se pure quella del 1374 non fu certamente un gioco da ragazzi. Della sua famiglia, dopo l’epidemia, solo lui sopravvisse, mentre vide spegnersi la moglie Nicoluccia ed i suoi 5 figli.
Ma ecco un estratto della sua cronaca:
“1348 – Vinciguerra da San Bonifazio fu rifermo Podestà in Calende di Luglio. E in quel tempo cominciò in Siena la grande Mortalità, la maggiore, e la più oscura, e la più horribile, che mai si potesse dire, o immaginare; e così bastò infino all’Ottobre 1348. Ella fu di tanta oscurità, che morivano gli huomini, e le donne quasi subito. Ensiava l’anguinaja, e ‘l ditello, e di subito favellando si morivano. El Padre a pena stava a vedere il figliuolo; l’uno fratello l’altro fuggiva; la Moglie il Marito abbandonava, perciochè si diceva, che s’appiccava questa malattia nel mirare (con lo sguardo), e nell’alito: e così fu vero, che morì tante genti del mese di Maggio, di Giugno, e di Luglio, e d’Agosto, che non si trovava chi le volesse seppellire per denari. Parentado, né Amistà, né Prete, né Frate andava con essi, né Offizio si diceva. Anco colui a cui moriva l’Attendente, uscito il fiato, sel pigliava o di dì, o di notte, e con due o tre il portavano alla Chiesa; e essi medesimi, dove più tosto potevano, il sotterravano meglio che potevano, e ricoprivano con poca terra, che cani nol mangiassero. E in molti luoghi della Città si fece fosse grandissime di larghezza, e cupe, e poi vi si mettevano dentro i Corpi, gittandoli dentro, e coprivansi con poca terra; e poi vi si mettevano altri Corpi assai, e poi si coprivano di terra; e così si faceva a suolo a suolo, tanto che la fossa fusse piena; e da poi si faceva l’altra. E io Agniolo di Tura, detto Grasso, sotterrai cinque mie figliuoli in una fossa con le mie mani; e così fecero molti altri il simile; e che cani ne traevano , e mangiavano di molti corpi per la Città. E non sonavano Campane, e non si piangeva persona, fusse di che danno si volesse, che quasi ogni persona aspettava la morte; e per sì fatto modo andava la cosa, che la gente non credeva, che nissuno ne rimanesse, e molti huomini credevano, e dicevano: questo è fine Mondo. Qui non valeva Medico, né medicina, né riparo alcuno; anco chi più argomento pigliava, più tosto pareva che morisse. E in effetto la mortalità fu tanto oscura, grande, e orribile, che non sarebbe penna, che la potesse scrivere, e trovossi, che moriro in Siena, e ne’ Borghi dentro la Città in questo tempo più di LXXX mila persone (80.000 persone)”.
Davvero il numero dei morti fu così elevato? Certo che la famiglia di Tura fu un classico esempio dell’alta percentuale di contagiati, visto che si portò via cinque suoi figli e poco dopo, anche il Podestà sopra citato Vinciguerra da San Bonifazio fece la stessa fine.
Secondo le “Croniche” di Tommaso Fecini ad esempio non si parla del numero dei morti, ma vi si legge che di dieci, nove morirono e anche altro Cronista “Anonimo” dice che di quattro morirono tre. Un altro “Anonimo”, diverso da quello citato sopra dice “Anno detto vi fu gran moria per tutta la Toscana, e a Siena morì de’ cinque e quattro, che facevano 65 mila bocche, rimase vive 15 mila bocche”. Se prendiamo anche un ulteriore testimone (Domenico di Maestro Bandino d’Arezzo), anch’egli concorda nel fatto che, alla Peste del 1348 (definita “Peste Inguinaria”), sopravvisse un quinto della popolazione esistente.
Che Siena, a quei tempi, avesse una popolazione superiore alle 80 mila persone è abbastanza probabile perché ci sono delle testimonianze scritte secondo le quali, nel 1328, Siena contava 35 mila uomini ai quali andavano sommati altri 30 mila residenti nei “Borghi”. Se queste stime sono veritiere, bisogna considerare ed aggiungere anche le donne (non conteggiate), che, anche in quei tempi, erano in numero superiore ai maschi. In questo modo arriviamo a 130 mila residenti.
Tra le vittime illustri, ricordiamo il Beato Bernardo Tolomei, fondatore della Congregazione di Monte Oliveto, che, saputo della drammatica situazione in cui versava la sua città, colpita dal morbo, abbandonò la sua Abbazia per recarsi in aiuto dei frati di San Benedetto. Dopo aver aiutato e confortato i propri figli e fratelli nella fede, proprio nel 1348 Bernardo morì colpito anche lui dalla peste, secondo la tradizione il 20 agosto e sepolto nel monastero cittadino del quale era andato in aiuto. Purtroppo delle sue reliquie si sono perse le tracce, dopo la distruzione del monastero di Siena nel 1554, durante la guerra fra Carlo V e la Repubblica Senese.
Ma la “peste nera” non fu solo un epidemia locale. Tutta l’Europa ne fu contagiata tra gli anni 1347 e 1351 e uccise circa un terzo della popolazione (si parla di circa 20 Milioni di vittime) con variazioni della mortalità da luogo a luogo. La penisola Italica sembra però che subì il numero maggiore di vittime.
Per questa malattia, non si conoscevano rimedi medici, né il suo iter infettivo, tanto che i primi studi che hanno portato a capirne la provenienza e la diffusione risalgono a fine 1800.
La malattia della peste per concludere, deriva dalla puntura di alcune pulci cosiddette “dei ratti” che preferibilmente attaccano i topi e li contagiano. I topi la trasmettono agli uomini direttamente o, poiché anche loro muoiono in massa, le pulci, una volta venuto meno il loro ospite preferito, tendono a trasferirsi sugli uomini, infettandoli. Poi, la trasmissione continua da uomo ad uomo come tante altre malattie infettive. Ma il morbo della peste si manifestava in due diversi modi. Il Primo era latente, prendeva di mira le vie respiratorie e giunto ai polmoni era impossibile guarire, il secondo era cutaneo e si manifestava con pustole (per cui fu definita “Peste Bubbonica”) e, talvolta, raramente, poteva avvenire la guarigione. In tutte e due i casi si moriva nel giro di tre/cinque/dieci gironi al massimo e con atroci dolori.
Naturalmente, quella del 1348, non fu l’unica epidemia di Peste che coinvolse la nostra città. Un’altra, altrettanto devastante, ad esempio, avvenne nel 1374 e decimò circa un terzo della popolazione cittadina. Fu in questa occasione che Santa Caterina da Siena stimolò molti uomini e donne caritatevoli affinchè, nonostante i rischi del contagio, continuassero ad assistere i moribondi e gli appestati.