La traslazione dell'opera ripetuta come nel 1311
SIENA – Non ci sarebbe stato modo migliore per celebrare i settecento anni dalla consegna della “Maestà” di Duccio di Buoninsegna – cioè la più grande, in secoli e secoli di storia dell’arte universale, “ancona” dipinta, sul prospetto e sul tergo, originariamente munita di predella e di coronamento – al “popolo” di Siena.
Nella data storica, a ricordo esatto di quel 9 giugno dell’anno del Signore 1311, ovvero dopo ben trentadue mesi di intenso e continuativo lavoro da parte del celebre pittore senese (l’opera gli era stata, infatti, commissionata il 9 ottobre 1308 dall’“operaio” dell’Opera del Duomo, messer Jacopo del fu Giliberto de’ Marescotti), si è ripetuto quello spettacolo, unico ed emozionante: la traslazione in solenne processione della “Maestà” (ovviamente, in questa ricorrenza, si è trattato di una riproduzione fedele, a dimensioni reali, data la preziosità e la fragilità dell’originale, attualmente conservato nel Museo dell’Opera della Metropolitana).
Nei giorni scorsi abbiamo avuto modo di rileggere e apprezzare il bel racconto scritto con grande maestria narrativa da Luigi Oliveto, che ha ricostruito attraverso una non comune, ma cólta, immaginazione la notte passata da Duccio di Nicolò dipentore, ormai prossimo ai sessant’anni, nella sua bottega, intento ad ammirare con sentimento, quasi a “dialogarvi” intimamente per l’ultima volta, il “frutto” del suo lavoro, che l’indomani (e per il futuro) avrebbe dovuto condividere con un’intera comunità cittadina. Un racconto, quello di Oliveto, di rara delicatezza, capace di umanizzare il più importante pittore senese di tutti i tempi, e vero e proprio iniziatore della “scuola” artistica senese.
Il 9 giugno 1311, appunto, ad opera terminata o comunque in condizioni tali da poter essere esposta al culto, la grande tavola destinata all’altar maggiore della Cattedrale senese fu prelevata dalla «chasa de’ Mucatti, di fuore della porta a Stalloregi», dove Duccio dipingeva, e trasportata in processione dalle autorità civili e religiose, dal clero, dai notabili e da una folla festante di cittadini; a questo punto è più giusto lasciare campo alle parole, in volgare, dei cronisti del tempo, citate da Agnolo di Tura del Grasso, ricche quanto mai di dettagli preziosi e affascinanti:
«in quello dì, che si portò al Duomo, si serroro [furono chiuse] le buttighe, e ordinò il Vescovo una magnia, e divotta compagnia di Preti, e Frati con una solenne pricisione accompagnatto [cioè: una processione in cui presenziavano] da Signori Nove, e tutti e gl’Uffizialli del Comuno, e tutti e popolari, e di mano in mano tutti e più degni erano appresso a la detta tavolla, per infino al Duomo, facendola intorno al Chanppo [ovvero: girando per il Campo], come s’usa, sonando le chanpane tutte a gloria per divozione di tanta nobile tavolla».
Una tavola tanto maestosa che andò a sostituire quella (più piccola, dei primi del XIII sec.) chiamata, per il suo aspetto “iconico” ancora fortemente bizantineggiante, “Madonna dagli occhi grossi” – la più antica immagine della Vergine nell’arte senese, oggi anch’essa conservata nel Museo dell’Opera del Duomo – , che la tradizione vuole “responsabile” della vittoria dei senesi a Montaperti (4 settembre 1260).
Preceduta dai “Vespri” della Beata Vergine Maria – presieduti, nella Chiesa di S. Niccolò al Carmine, da S.E. Monsignor Antonio Buoncristiani, Arcivescovo metropolita della Diocesi di Siena, Colle di Val d’Elsa e Montalcino – , la processione, aperta come allora dalle massime autorità cittadine (presenti: il Sindaco di Siena, Franco Ceccuzzi; S.E. il Prefetto, Gerarda Pantalone; il Rettore dell’Opera della Metropolitana, Mario Lorenzoni; il Presidente della Fondazione Monte dei Paschi, Gabriello Mancini; l’Assessore provinciale alla cultura, Marco Saletti; gli onorandi Priori delle Contrade) e, stavolta, dai figurin maggiori delle 17 Contrade, è stata un’iniziativa davvero emozionante. Esiste, però, un’emozione a prescindere dall’iniziativa stessa: e questa è la commozione che scaturisce direttamente da quell’opera tanto sublime. La grande partecipazione di cittadini e fedeli è dovuta al fatto che – afferma Don Andrea Bechi, direttore del settore Arte sacra della Curia – è stata da loro fortemente voluta”.
«Tutto ciò – spiega l’Arcivescovo – non è da intendersi solo come un avvenimento religioso, di devozione mariana, ma anzitutto come un evento culturale, strettamente legato ai recenti festeggiamenti per il settimo centenario del “Costituto” senese. […] Ripetere tutto questo, in una sorta di operazione della memoria collettiva, ha anche il significato di riappropriarsi di uno straordinario patrimonio di civiltà, che fa meritare alla nostra Città di essere davvero considerata come una delle “Città europee della Cultura”. Questa iniziativa promossa dalla Chiesa senese in collaborazione con l’Opera della Metropolitana potrebbe promuovere anche una più adeguata sistemazione museale della “Maestà”, come già avvenuto per la “Vetrata” dello stesso Duccio».
Ma le celebrazioni in occasione del trasporto dell’immagine sacra hanno previsto, a cornice, anche un momento di approfondimento, che si è svolto sempre nella Chiesa di San Niccolò al Carmine, in prossimità quindi della bottega di Duccio: la presentazione del volume commemorativo, divulgativo, corredato da un ampio apparato fotografico, Il cuore di Siena. La Maestà di Duccio di Buoninsegna, curato dalla professoressa Mariella Carlotti ed edito da Società Editrice Fiorentina (2011, pp. 116 – euro 16,00). L’autrice – già nota per un suo brillante studio sugli affreschi del “Buon Governo” di Ambrogio Lorenzetti (Il bene di tutti, Società Editrice Fiorentina, 2010), che nel marzo scorso segnalammo proprio tra queste pagine – ricostruisce la genesi del grande capolavoro duccesco cercando di immedesimarsi con le ragioni profonde che mossero l’artista nel suo operare. La “Maestà” rappresenta la più importante pala d’altare di tutta la pittura italiana, non solo medievale, e allo stesso tempo è una testimonianza efficace dell’ “avvenimento cristiano”: fin dall’inizio, chi entrava nel Duomo di Siena era colpito dalla presenza di Maria e questa lo disponeva ad accorgersi di Cristo, la cui storia evangelica era narrata proprio sul retro della grande tavola.
Una ricerca ed un’analisi talmente accurata, quella condotta dalla Carlotti, che è durata per alcuni anni: basti pensare che un altro suo contributo sull’argomento risale al 2005 e prendeva il titolo dal celebre incipit dell’ultimo canto del Paradiso di Dante: Figlia del tuo figlio (sempre per i tipi della Società Editrice Fiorentina).
Non ci resta, a conclusione, che unirci alla preghiera-invocazione vergata da Duccio, a mo’ di epigrafe, sulla pedana del trono della Beata Vergine Maria, Regina e Patrona della nostra amata Città: «Mater Sancta Dei sis causa Senis requiei […]»: ‘Santa Madre di Dio sii causa di pace per Siena’. E così sia.
* Incipit del canto XXXIII del “Paradiso” di Dante Alighieri ed inizio dell’orazione di San Bernardo alla Vergine.