I Carabinieri di Siena hanno dato avvio ad un'operazione che ha portato a perquisizioni in 14 regioni
SIENA. Non è stato facile per nessuno. Non è stato facile per la madre che a gennaio è andata dai Carabinieri di Viale Bracci a Siena a denunciare di aver rinvenuto nello smartphone del figlio 13enne, video pedopornografici di una violenza inaudita. Non è stato facile per i Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Siena che hanno condotto le immagini, vedere scene di violenza su bambini o altre scene di brutalità inenarrabile.
La donna avrebbe potuto limitarsi ad ammonire il figlio, ordinargli di uscire per sempre da quel gruppo WhatsApp dal nome vergognoso. Ma ha preferito seguire la propria coscienza. Se non fosse stato per quella denuncia l’indagine non sarebbe partita né a Siena né altrove. Perché un gruppo WhatsApp non conosce confini e l’espressione degradante di malcostume ha interessato molte regioni d’Italia.
Moltissimi ragazzini hanno potuto osservare le immagini di pedopornografia, di enorme violenza, di apologia del nazismo e dell’islamismo che vi erano contenute. Anche quel nome dato al gruppo “The shoah party” è a dir poco disgustoso oltre che profondamente diseducativo. E in quegli abissi di degrado i Carabinieri hanno dovuto lavorare, attraverso intercettazioni telematiche richieste e ottenute dalla Procura dei Minori di Firenze, sotto il coordinamento del Procuratore Sangermano, e dalla Procura Distrettuale di Firenze competente per materia, grazie ai decreti emessi dal PM Cutrignelli.
Tanti ragazzini dai 13 ai 17 anni sono rimasti invischiati più o meno consapevolmente in questa triste vicenda di pedopornografia, altri ne sono subito usciti. Ma nessuno risulta aver denunciato la cosa.
Alla denuncia di Siena sono seguiti cinque mesi d’indagini molto intense. Autorizzati dai pubblici ministeri, i militari si sono introdotti con l’inganno all’interno del gruppo social, riuscendo a convincere gli amministratori della loro inattendibile affidabilità, con un giochetto da hacker. Si è poi risaliti agli amministratori del gruppo, quelli che lo hanno creato e alimentato, minorenni e maggiorenni, tutti residenti nella zona di Rivoli, le immagini e i video postati sono stati attribuiti singolarmente alla responsabilità di qualcuno, e alla fine ne è venuta fuori una ben documentata informativa di reato che è finita sul tavolo dei magistrati operanti. Questi hanno ritenuto necessario interrompere da subito l’attività delittuosa.
I Carabinieri avevano ricostruito tutto. Maggiori elementi potevano emergere solo dalle perquisizioni. Sono stati così emessi 25 decreti di perquisizione a carico degli indagati, 19 a carico di minorenni e 6 a carico di maggiorenni, eseguiti nella nottata di ieri in 13 Province d’Italia. Sui sei 13enni coinvolti non era possibile procedere, essendo non imputabili per la legge italiana. Era insomma necessario bloccare la diffusione progressiva dei partecipanti al gruppo, persone che normalmente non si conoscevano tra di loro ma che condividevano evidentemente l’inconfessabile segreto.
Nel corso delle perquisizioni sono stati sequestrati decine di telefonini e computer. Verranno affidati ad un consulente tecnico d’ufficio che ne farà delle copie forensi, riproduzioni attendibili dei contenuti spesso indescrivibili delle chat, necessarie per la promozione delle accuse in giudizio.