
di Andrea Pagliantini
SIENA. La luce radente del tramonto colora per pochi istanti di arancio questo imponente edificio di marmo creato per stupire e per glorificare la potenza cittadina, è un effetto ottico che dura pochi minuti, prima che le tenebre accorrano e il tondo di vetro rifletta l’immagine della luna. Credenti e visitatori che sono entrati nel corso dei secoli hanno potuto ammirare un lavoro di arte e di ingegno che non ha eguali, dove si sono alternati i più valenti artisti di ogni epoca.
La recente dismissione a uso parcheggio di piazza Jacopo della Quercia (che strabordava fino e oltre l’ingresso della Provincia – Prefettura) ha permesso di aprire lo spazio al campo visivo per coglierne appieno l’imponenza, anche se l’invadenza di tavolini da bar all’ingresso del complesso museale del Santa Maria della Scala è un limite da città turistica, che non rinuncia agli affettati anche nei luoghi più prestigiosi.
Se l’esterno è magnifico, dentro si rimane estasiati dalle pagine di marmo scritte sul pavimento, dal turchese immenso che prende il sopravvento nella libreria Piccolomini, nella ricerca del volto della Papessa Giovanna nella lunga fila dei busti di papi antichi.
Ma fuori basta alzare lo sguardo per individuare una piccola nota stonata: la Lupa Senese, posta su una colonna a lato della scalinata d’ingresso (simbolo cittadino e della mitologica fondazione cittadina da parte dei figli di Remo – Senio e Ascanio – perseguitati dallo zio Romolo), presenta una copertura estesa a quasi tutto il corpo di xanthoria parietina, ovvero il comune lichene giallo che copre le tegole dei tetti o si forma sui tronchi delle piante.
In tutto questo candore, in tutta questa piazza ritrovata, risalta questo unico neo, ma che è il simbolo stesso della storia senese, posto in copia nei punti più rappresentativi entro le mura. Stona che i piccoli Senio e Ascanio si allattino con il muschio delle mammelle della Lupa.