FB qualche volta offre spazio a riflessioni utili
di Silvana Biasutti
SIENA. Facebook è un luogo curioso che talvolta infastidisce con richieste e offerte, piuttosto intrusive; come quando ti chiede il numero di telefono con la pretesa di blindare la tua privacy. Persino una vecchia credulona barcollante come la sottoscritta è diventata molto scettica al riguardo (ma tra l’altro non solo nei confronti di FB!).
Tuttavia l’incalzare bulimico di FB qualche volta offre spazio a riflessioni utili, proprio perché nell’ansia (di FB) di marcarti da presso, quando sente che magari ti assenti un po’ troppo a lungo, si affretta a offrirti qualche esca, per ricondurti nel gioco; per farlo, succede che FB riproponga un ricordo – qualcosa che uno ha già postato uno o più anni prima.
È un tema caldo, quello dei social e delle deformazioni della realtà che inducono. Tuttavia ogni tanto anche queste marcature hanno risvolti interessanti e fanno riflettere su aspetti che altrimenti passerebbero inosservati o comunque sottovalutati.
Mi è accaduto l’altra mattina all’alba, quando il tintinnio del mio smartphone mi ha indotta a guardare che cosa diavolo mi voleva comunicare, nel primo dei cosiddetti giorni ‘della Merla’. Va detto che avendo intorno una famiglia numerosa e sparpagliata ed essendo di temperamento ansioso (aggravato dalle cronache quotidiane) sono attenta ai segnali del telefono.
Guardo lo schermo, e c’è FB che già all’alba mi offre un ricordo di un anno prima, ed era un pezzullo scritto per ilcittadinoonline.it il 29 gennaio 2016, titolato “Mps: perché non dev’essere un addio”.
L’ho riletto e il primo pensiero che ho avuto è stato quello di tornare a leggere la data, per sincerarmi che fosse davvero solo un anno e non molto di più il tempo trascorso da quello che avevo scritto allora.
Invece è passato solo un anno da quando scrivevo alcune considerazioni sul marchio MPS; scrivevo confortata dall’esperienza di tanti anni spesi lavorando sul tema dell’immagine di imprese e prodotti. Un lavoro con risvolti e momenti anche drammatici e delicati, come quando curavo il corporate della maggiore casa editrice italiana negli anni di cruciali cambi di proprietà.
Poiché l’immagine – contrariamente a ciò che alcuni pensano – è cosa delicata e deteriorabile; non è un’operazione di maquillage per nascondere i problemi di un’azienda, ma è il risultato della sua buona gestione, ma viene dai comportamenti corretti e trasparenti di un’azienda, degli azionisti, del management, oltre che dalla qualità dei suoi prodotti e servizi; basta poco per incrinarla, distruggendo in poco tempo il lavoro di anni, talvolta di secoli.
È arrivata FB, costringendomi a rileggere quello che scrivevo solo un anno fa, a mettermi sotto il naso il decadimento che, in un solo anno, ha colpito il marchio della più famosa banca del mondo; una banca illustre, con una reputazione addirittura poetica, legata anche alla bellezza, ai paesaggi al cui centro prosperava e alla capacità di interpretare (e finanziare) il senso senese della solidarietà.
Ma quello che ho scritto un anno fa, ora non potrebbe più essere scritto, perché quel marchio ha subito un logorio che ne ha cambiato perfino il significato: non è più un simbolo prestigioso; il suo valore attuale non si presta più a un ruolo di testimonial di tradizione e bellezza.
Ho provato un acuto senso di disagio sentendo commentare con sarcasmo l’immagine di un vino fotografato davanti al marchio della banca da una pierre volenterosa e un po’ ingenua, durante una recente manifestazione che si è tenuta a Siena.
È stato un po’ come vedere l’abito di uno stilista famoso fotografato davanti a un bel monumento in rovina: com’è possibile che tanti politici e tanti manager abbiano lasciato che ciò accadesse?!