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SIENA. Da Nicola Sisi (Toscana Civica) riceviamo e pubblichiamo.
“Superare la PAC e gli OGM. Rilanciare il settore con un nuovo approccio positivo al mondo dell’agricoltura, con la tutela delle eccellenze nostrane e tramite nuovi contratti agrari e investimenti nella formazione professionale dei giovani.
Bisogna premettere che oggi l’agricoltura italiana, intesa a 360 gradi, dalla coltivazione all’allevamento degli animali, deve difendersi da misure che hanno avuto il solo risultato di distruggerla, creando “mostri agricoli” come gli OGM (organismi geneticamente modificati), l’IMU agricola, PAC (Politica Agricola Comunitaria). Gran parte dei contadini italiani scelgono però la strada più difficile, quella di produrre in maniera tradizionale. Si rifiutano di adottare tecniche agricole che si basano su OGM, fertilizzanti o altri prodotti chimici.
Questi agricoltori, con grande coraggio, producono un prodotto italiano di grande eccellenza con un profumo ed un sapore e una qualità impareggiabili che nessun prodotto basato su OGM o composti chimici potrà mai avere. Noi siamo quindi per un ritorno ad una agricoltura che sappia conciliare tradizione e modernità ma nel rispetto dei cicli biologici naturali rifuggendo quindi da OGM e politiche imposte dall’alto.
A ciò si aggiunge la necessità di disciplinare il lavoro agricolo subordinato con norme moderne, chiare, prevedendo più alte retribuzioni, dignitose e non da sfruttamento: dobbiamo superare la logica deleteria del “a lavoro in campagna ci vanno solo gli immigrati” perché non esistono lavori che gli italiani non vogliono fare ma esistono condizioni di lavoro che un italiano non potrebbe accettare. Si deve dichiarare guerra all’odioso fenomeno del caporalato e varare una nuova legge sui contratti di affitto dei fondi agricoli in linea con i tempi (la legge attuale è del 1982!!), per incentivare l’apertura di nuove aziende agricole e recuperare quelle dismesse.
Il primo passo per riportare l’agricoltura ad essere protagonista è anzitutto la difesa delle nostre eccellenze locali: penso per esempio alla cinta senese, al tartufo e all’olio di oliva che vanno difesi contro le contraffazioni e la concorrenza al ribasso.
Il “Made in Italy” è noto in tutto il mondo e le nostre produzioni sono le più imitate da tarocchi che messi in fila provocano un danno economico annuo stimato in circa 60 miliardi di euro. Dobbiamo varare Regolamenti di tutela con l’obbligo di comunicare in etichetta l’origine dei prodotti ed imporre su tutte le trattative (CETA, TTIP, MERCOSUR) che deve prevalere la sicurezza alimentare (regole stringenti) e non solo il business: noi siamo ciò che mangiamo!
Sulla Pesca: è urgente e indifferibile una vera riforma di questo settore, che vede l’Italia penalizzata anche da concessioni date a Paesi Extra-Eu che impoveriscono i nostri mari e fanno sleale concorrenza alle nostre flotte di pescatori che si tramandano di padre in figlio un mestiere sempre più difficile da praticare. E necessario un “Piano Marshall” per la pesca, che sia progettato per dare un futuro alle migliaia di pescatori che vivono in continua incertezza economica.
Dobbiamo inoltre ripensare ai concetti di terra e di lavoro agricolo come ad un qualcosa di nobile e non di deleterio o di povero. Dal dopoguerra ad oggi pressoché tutti i partiti di governo hanno operato per una politica di spopolamento delle campagne e per la denigrazione del lavoro agricolo a vantaggio di una politica volta alla creazione di un “esercito” di laureati spesso disoccupati. Di fatto negli anni 70 del ‘900, l’illusione di una vita migliore in città grazie al posto fisso in fabbrica ed ai guadagni facili, ha invogliato milioni di persone ad abbandonare la campagna. I soldi facili erano solo un argomento per iniziare la distruzione del tessuto agricolo italiano. L’Unione Europea poi ha dato all’agricoltura il suo colpo di grazia attraverso la famigerata PAC. Oggi l’Italia è piena di famiglie di origine contadina con figli e nipoti disoccupati ed interi borghi rurali abbandonati al loro destino nonché di un esercito di disoccupati che ben potrebbero in larga parte essere reimpiegati nel settore agricolo.
Noi vogliamo invertire questa tendenza ancora in atto e puntare a proporre ai giovani il ritorno ad un lavoro agricolo di alto livello sotto il profilo tecnico e redditizio sotto quello economico affinché il lavoro nelle campagne sia fonte di soddisfazioni sotto ogni profilo, umano, professionale e patrimoniale. Ciò in primo luogo attraverso il potenziamento degli istituti agrari da ripensare come vere e proprie “fucine” del lavoro. Chi esce diplomato da un istituto agrario o consegue il diploma di enologo dovrà avere un posto di lavoro garantito”.