SIENA. A Natale il mio racconto vale. Ecco il primo.
di Gabriele Airoldi
Quel giorno Niko si svegliò di buonumore: l’atmosfera del Natale gli metteva allegria. Ed anche un po’ di nostalgia del passato.
Ripensò a quand’era bambino, alla neve che cadeva silenziosa nel buio della notte, al profumo di resina dell’abete con le candele rosse accese, i globi di vetro ed i fili d’argento illuminati dalle fiammelle che creavano ombre sempre nuove e riflessi cangianti… Sospirò.
Ogni anno, quando era il momento di “fare l’albero” si tirava fuori lo scatolone e si toglievano le palline dalla carta velina e dalla paglia: ce n’era sempre qualcuna di rotta, così lui e la mamma andavano in città e ne sceglievano di nuove. Era una questione che riguardava solo loro due, il resto della famiglia era escluso dall’operazione. Una bella responsabilità per Niko, ma nessuno mai disprezzò le sue scelte: c’era di che essere orgogliosi.
In casa c’era sempre un’aria calda, complice, e nello stesso tempo di attesa, che coinvolgeva tutti, anche i grandi.
Niko aveva anche l’incarico di fare il presepe, ma prima era necessario ritoccare qualche statua, dipingere nuovamente il manto della Madonna, che – chissà perché – ogni anno aveva qualche piccola sbreccatura. Erano statue grandi, come quelle delle chiese, ed anche il presepe occupava un bello spazio, tutto coperto di muschio raccolto in giardino. Insomma, c’era un gran daffare in quei giorni. “Proprio come ora”, pensò Niko, che di lavoro ne aveva davvero molto in quel periodo. Ma il suo pensiero continuava a vagare tra i ricordi.
La sera di Natale ricordava l’emozione dell’attesa dell’arrivo di Babbo Natale, quella che impediva di prendere sonno e che faceva a pensare che non sarebbe arrivato proprio per quella veglia prolungata. Poi il sonno vinceva tutto. La mattina dopo era come entrare in un mondo incantato: non c’erano pacchetti da aprire, tutti i giochi erano pronti per essere usati subito, al camino erano appese lunghe calze bianche piene di ogni ben di dio, al cui esterno mani pazienti avevano cucito dolcetti, cioccolatini, caramelle ed un sacco di cose buone.
Niko ricordava quella sensazione: era come stare in un sogno sapendo che era vero. E sapeva che quella notte c’era stato un fitto lavorio dei genitori e dei nonni per creare quella scena meravigliosa. Certo, l’aveva scoperto molto dopo, quando era toccato a lui farlo per i propri figli…
“Peccato che la ente non creda a Babbo Natale, dopo un po’”, penso tra sé. Poi si lisciò la barba, sistemò il berretto, provò per l’ultima volta il suo tradizionale “ho ho ho” e inforcò la sua slitta trainata dalle renne. “Io ci credo, però”, ridacchiò.