Accolta con esclamazioni di meraviglia la scopertura dell'opera di Nicola Pisano
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di Giulia Tacchetti
SIENA. “Con questo restauro lasceremo un patrimonio ai nostri posteri”. Così (venerdì 15 giugno) il Rettore dell’Opera Gian Franco Indrizzi termina la presentazione del pulpito restaurato al folto pubblico di Siena, seguita da quella di Alessandro Bagnoli, coordinatore del comitato scientifico, che, sebbene più dettagliata nei vari interventi del restauro, ribadisce lo stesso concetto. Infatti il pulpito viene mostrato come “un patrimonio di memoria che deve essere tramandato per i suoi valori vissuti oltre che per la sua bellezza”. Non dimentichiamo la forte devozione alla Madonna da parte della città. Quando nel settembre del 1265 l’Opera del Duomo di Siena commissionò a Nicola Pisano l’esecuzione di un pergamo marmoreo, affidava ad uno dei più grandi interpreti dell’arte antica la creazione del luogo più elevato nella Cattedrale, da dove venivano lette le sacre scritture, verso cui l’attenzione dei fedeli era molto forte. La monumentale opera , interamente coperta di altorilievi scolpiti, fu terminata dopo tre anni con l’intervento di Giovanni Pisano e degli allievi Arnolfo di Cambio e Lapo. Posta nella zona a destra dello spazio sottostante la cupola, qui rimase fino al 1506, quando venne smontata e collocata nell’attuale posizione (1543). L’intervento cinquecentesco con lo smontaggio ed il rimontaggio ha provocato cambiamenti, come la scala a spirale in marmo, e diminuzioni delle figure in altezza e larghezza. Ad esempio il ribassamento dell’aquila, ben visibile nella parte alta del pulpito, ha provocato la perdita della punta delle ali. Il complesso architettonico ha subito una riduzione dei rilievi istoriati, che sono stati amputati delle originarie incorniciature ed anche una manomissione delle sculture angolari, in origine immaginate con la tipica struttura delle Sӓulen Figuren, cioè le statue legate alle colonne, tipiche delle cattedrali gotiche d’oltralpe. L’intervento di restauro, resosi necessario sia per l’invecchiamento secolare, sia per le polveri come per il nero provocato dai fumi delle candele, è ricorso ad ogni tecnica tradizionale e all’avanguardia: dalle relazioni scritte, alle analisi chimiche delle materie, dalle riprese fotografiche professionali a quelle con i raggi ultravioletti. Sono stati recuperati così i resti delle dorature e delle colorazioni, che davano alle figurazioni un’apparenza naturalistica, come gli occhi azzurri di alcuni personaggi, che mai avremmo potuto vedere. Quindi il pulpito era a oro e colori: appare un angelo dagli occhi azzurri; il Cristo mistico ha sul piede, dove è visibile la ferita provocata dal chiodo, un frammento dell’incarnato. Sono tornati alla luce vetri dipinti e dorati. Le più cospicue testimonianze di queste impensate finiture cromatiche si trovano nei sottoquadri delle figure scolpite e nei recessi più profondi degli altorilievi, dove non ha potuto agire la lenta ed inesorabile azione del tempo.
Concludiamo con l’esclamazione di meraviglia che ha accompagnato la scopertura del pulpito, avvolto da teli rossi , e l’accendersi delle luci.