SIENA. Ho letto con attenzione l’intervento della CET sul diritto alla vita e sulla sua tutela nell’ordinamento giudiziario. Le loro parole ribadiscono un principio essenziale: la vita è un valore inviolabile, che non può essere messo in discussione da ideologismi o da
“occasioni” politiche di breve respiro.
Eppure la proposta di Legge sul Fine Vita avanzata in Consiglio Regionale della Toscana dal Partito Democratico si muove nella direzione opposta, piegandosi a una visione
populista e vacua dell’esistenza.
Invece di tutelare la dignità umana nella sua interezza, questa proposta sembra orientata a costruire una società anestetizzata, in cui il valore
della vita viene subordinato alla paura della sofferenza e della morte.
Si dimentica così un principio cardine della medicina, sancito in modo chiaro dal giuramento di Ippocrate: primum non nocere, ossia il dovere fondamentale di non nuocere.
La professione medica non può essere piegata a logiche che aprano la strada alla soppressione della vita, né il sistema sanitario può trasformarsi in uno strumento di complicità con chi vorrebbe ridefinire arbitrariamente il valore stesso dell’esistenza.
Preoccupa, infatti, il tentativo di sostituire il principio ippocratico con un criterio vago e soggettivo di “dignitosa qualità della vita”. Ma chi può stabilire con certezza cosa
significhi qualità? E con quali parametri, se il concetto stesso è fluido e non quantificabile? I rischi di una deriva selettiva ed escludente sono sotto gli occhi di tutti. In
alcuni sistemi sanitari, come quello anglosassone, questa logica ha già portato alla negazione di cure avanzate per malattie gravi, come la sclerosi multipla, considerate
economicamente non sostenibili per una vita ritenuta “a qualità decrescente”.
Ecco dove conduce questa visione: se la qualità della vita diventa il criterio ultimo, allora quale futuro attende i più fragili? Se il valore dell’esistenza è messo in discussione in base a parametri economici o soggettivi, allora chi ci impedirà un domani di giustificare anche le peggiori atrocità?
In questo scenario, appare evidente che la volontà del PD di forzare il dibattito su questi temi nel tentativo di fingersi il “primo della classe”, non può portare alcun beneficio reale.
Un atto politico davvero responsabile e intelligente sarebbe, invece, quello di accogliere l’invito al confronto, come auspicato dal cardinale Augusto Paolo Lojudice, per ricercare
un punto di equilibrio necessario. A tal proposito, sarebbe opportuno analizzare con attenzione il senso della posizione presa ufficialmente dai vescovi toscani rispetto all’iter
legislativo in corso in Regione.
In conclusione, non può essere accettata un’analisi spicciola di un tema ben più profondo, che merita una discussione più ampia e ponderata e va avversato ogni tentativo di relativizzare la vita o piegarla a logiche ideologiche.
Alessandro Piccini, referente politico del Gruppo Consiliare Siena in Tutti i Sensi