"La retorica, l’ideologizzazione e il narcisismo non permettono di vedere i reali cambiamenti a cui è soggetta"
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SIENA. Da Pierluigi Piccini ricceviamo e pubblichiamo.
“Rispetto alla graduatoria della qualità della vita di bambini, giovani e anziani nelle provincie, posso portare una piccola testimonianza. Da tempo mi telefonano genitori o giovani, che mi chiedono un aiuto per trovare una camera o un alloggio a Parigi. Cerco di dare una mano, grazie alle conoscenze che ho maturato nel tempo nella capitale francese e qualche volta riesco ad essere utile. Le richieste negli ultimi tempi sono molto aumentate per studiare o lavorare, ma se dovessi fare una considerazione dovrei dire che chi mi chiama cerca un aiuto per l’esiguità dei mezzi a propria disposizione. Chi ha le spalle larghe invece sa come fare, ha i genitori che lo possono aiutare e se la sbrigano da soli. Ancora una volta, due pesi e due misure: la differenza sociale è evidente. Fatto sta che, indipendentemente dall’estrazione sociale, in molti lasciano Siena e pochissimi sentono il bisogno di rientrare. Poi ci sono quelli che non ce la fanno o che, addirittura, non finiscono il percorso scolastico. Persone che dovrebbero interessare di più, che spesso non abitano la città e che la frequentano nel fine settimana. Quelli che, di tanto in tanto, vengono presi in considerazione solo quando si agitano. Una nuova separatezza dal territorio di tipo sociale.
Questa considerazione spinge a una riflessione che mi agita da tempo: la necessità di rimettere in piedi una lettura della città che poggia, innaturalmente, sulla testa. Mi spiego meglio. La città è profondamente diversa da come viene rappresentata: la retorica, l’ideologizzazione e il narcisismo non permettono di vedere i reali cambiamenti a cui è soggetta. Mi si dirà: come avviene in tutte le città italiane. Sì, può essere, ma noi viviamo qui ed ora e a noi spetta rappresentare la realtà per quello che effettivamente è.
La retorica di cui si abbonda serve a mascherare le contraddizioni, i problemi, per questo userò un termine obsoleto, ma ancora efficace: le differenze sociali, una volta si sarebbe detto di classe. Sì, perché nei momenti di crisi le differenze appaiono più chiaramente. Come consiglieri comunali abbiamo fatto un lungo lavoro in commissione, incontrando gli operatori istituzionali e meno, i rappresentanti delle contrade su un argomento classico: il disagio giovanile. La fotografia che ci hanno rappresentato è decisamente allarmante. Ancora una volta, la risposta che dà il welfare ai nuovi problemi è quella tradizionale, quindi insufficiente, tranne gli sforzi di qualcuno e la buona volontà di alcuni operatori. Il sistema è rigido e le domande molto più complesse. Se poi dovessimo focalizzare l’attenzione sul mondo scolastico e adolescenziale il quadro diventerebbe ancora più preciso e molto più chiaro.
La scuola è diventata sempre più socialmente selettiva, in una realtà che oscilla tra il circolo chiuso e una apertura piena di contrasti. Non esiste una politica dell’immigrazione, ad esempio. Per non parlare del lavoro, che a Siena, come in buona parte del mondo occidentale, alterna precariato e smart working senza che nessun organo intermedio riesca a ricomporre, o a tentare di ricomporre, le fratture sociali. Quella senese è una economia appiattita sui servizi, legati quasi sempre alla ristorazione o all’accoglienza. Queste attività, spesso, non sono coperte neppure da risorse locali e caratterizzate dal precariato. Mi fermo qui, ma potrei continuare e affrontare ad esempio il capitolo beni culturali e la rappresentazione che la città offre di se stessa nelle politiche culturali, ammesso che ci siano.
Le ultime battute sull’affresco del Buongoverno ne sono una prova molto chiara giocata, almeno dal Comune sul piano della retorica. Il metodo imperante è la sbrigativa semplificazione della complessità. Concludo dicendo che non ci potrà essere nessun tipo di rilancio della nostra comunità, se non si prende coscienza di ciò che sta accadendo, se non si trovano risposte anche inizialmente parziali ai cambiamenti. Certo la retorica, il narcisismo sono comode modalità per nascondere le contraddizioni. E se queste vengono portate su un piano ideologico, tutto diventa apparentemente più semplice e tranquillizzante”.