SIENA. Da Pierluigi Piccini riceviamo e pubblichiamo.
“Non sempre le esperienze del passato sono utili per capire ciò che avviene nel presente o ciò che potrebbe succedere. Mi riferisco all’ipotesi della Multiutility, che sembra essere diventato il terreno di sintesi in Toscana tra una parte del centrodestra e un’altra del Pd.
Lo schema, nelle sue linee essenziali e da quanto si è potuto capire, potrebbe ricalcare la fase della quotazione in Borsa del Monte dei Paschi, sebbene con alcune differenze di non poco conto. Nel caso della Banca fu una “falsa” quotazione, perché la Fondazione e i suoi enti nominanti di fatto erano tutti senesi e ciò che gli rimaneva in mano all’inizio, vado a memoria, oscillava a più dell’80% del capitale.
Le reti idriche e il demanio pubblico risulterebbero divisi tra i Comuni della Toscana, dove la parte da leone la giocherebbe Firenze e quella fascia di comuni che hanno sempre governato la Toscana, che diventerebbero i veri gestori della Multiutility. A meno che, cosa difficilissima, non ne cedano la sovranità o parti di essa.
Ma cosa ha fatto saltare la positiva, originale e inedita operazione del Monte? Le cause sono sostanzialmente due: l’incapacità gestionale della governance, non solo politica, e il partitismo finalizzato al controllo e al consolidamento del potere di pochi.
Rischi che sono tutti presenti nell’ipotesi della Multiutility: ciò che conterà sarà la gestione insieme alla capacità di tenere lontano la politica, cosa che temo non possa avvenire (visto come si stanno delineando alcune ipotesi di accordo tra le parti). Ci assicurano che tutto rimarrà in mano pubblica. Bene! E come la mettiamo con gli eventuali aumenti di capitale? Se ci fosse questa necessità, i Comuni si troverebbero nella obbligatorietà di sottoscrivere la quota complessiva di partecipazione al capitale in quote proporzionali, ovviamente, ma se non ce la dovessero fare, chi sottoscriverebbe? In questo caso, di fatto verrebbero cedute parti del demanio al mercato (la Fondazione Monte dei Paschi insegna). Si potrebbe creare, altresì, l’ipotesi che qualche Comune, costretto dalla necessità si alleasse con dei privati. Ovvero, quello che, sciaguratamente, è stato fatto dai politici senesi e che poteva essere evitato nel 2004 (Caltagirone, Gnutti, etc.). A quel punto non è detto che le risorse sarebbero impiegate per gli investimenti, e al tempo stesso i Comuni non potrebbero più garantire alle proprie comunità il controllo delle tariffe.
Obiezione: non ci sarebbero alternative. Siamo sicuri che queste siano state valutate? Il ricatto del tempo pesa come una spada di Damocle sulla testa dei cittadini, eppure qualcosa di diverso potrebbe essere pensato; perché la politica non se ne fa carico per settori strategici come quelli in oggetto? Mi sembrava di aver capito qualche mese fa che il Pd toscano, legato alla Schlein, avesse preso definitivamente le distanze dal neoliberalismo di matrice renziana e che questo non fosse in procinto di ricevere nuovi, inediti apporti.
Insomma, per chiudere, siamo di fronte – in sintesi – ad una operazione di pura finanziarizzazione impostata per sistemare l’”ingegneria” delle società in discussione senza la definizione dettagliata di un progetto industriale, per giunta, tutta in mano a Firenze”.