SIENA. Da Pierluigi Piccini riceviamo e pubblichiamo.
“Ricordare Franco è un atto difficile che mi angoscia e che non avrei mai voluto fare. Con Franco ci conosciamo da sempre, abbiamo lavorato insieme per far diventare il Siena Jazz una struttura istituzionale nel lontano 1991 e ci siamo visti l’ultima volta qualche giorno prima di Natale. Affetto e stima. Stima per una persona dalle visioni concrete che non si fermava davanti alle difficoltà, un creativo vero. Che riusciva ad ottenere il meglio per la sua creatura, il Jazz, magari ricorrendo al suono di uno strumento per svegliare la routine della politica, come fece con l’assessore alla cultura della Regione agli esordi della sua avventura. Una persona pulita che si metteva in gioco, che ci metteva non solo la faccia, ma addirittura il suo patrimonio quando dovette risolvere un periodo difficile dell’associazione.
I nostri incontri si sono intensificati nell’ultimo periodo, un po’ per le questioni statutarie e la nostra presenza in Consiglio comunale, un po’ per la fine del suo ruolo in Siena Jazz come direttore artistico. Un dolore vero, come un doloroso è stato il suo rapporto con la precedente amministrazione, fatto di incomprensioni e di mezze verità. Franco era giustamente offeso ed ha più volte dimostrato con i numeri alla mano di non essere il responsabile del “buco” di bilancio. Mi ha ripetutamente dimostrato che tutto dipendeva dalla Regione Toscana, che per un anno aveva saltato di erogare l’abituale contributo all’Associazione e che nessuno si era mosso da Siena per rivendicarlo.
“Però sai Pierluigi, io saprei come fare, come ho sempre fatto, è una questione di fiducia da parte dei creditori e di gestione dei tempi di pagamento, ho sempre fatto così e così abbiamo fatto grande il jazz a Siena e nel mondo”.
E poi la causa contro il vecchio statuto, l’incomprensione sul nuovo, convinto che con la nuova amministrazione si potesse avviare un dialogo e un riconoscimento per un suo ruolo reale da individuare. Ciò che non è avvenuto. E da qui la sua crisi, quello di non essere capito, considerato, quello di non essere apprezzato per il suo disinteresse personale a tutto vantaggio dell’associazione: “vedi bisogna sapere dove mettere le mani, dove andare a bussare, bisogna ripartire correttamente, amare quello che si dovrebbe fare, non è solo un fatto burocratico”.
Giusto! Non si fa nulla senza l’umanità necessaria e scalzando l’ipocrisia. Che vuoi che ti dica, caro Franco? Soprattutto un grande grazie, non solo per il Jazz, ma per quello che sei stato e per quello che ci hai insegnato. Ci vorrebbero concerti su concerti per smuovere i convitati di pietra. Ci hai insegnato che il sogno, l’impossibile, si possono realizzare amando disinteressatamente le persone e ciò che si fa”.