Nel caso di Chianciano si celebra "un processo fuori dal processo, in cui gli organi di stampa sono giudice e Pm"
SIENA. Gli avvocati penalisti senesi in un lungo intervento riguardante la vicenda che vede coinvolti quattro giovani spadisti nel presunto stupro di una schermitrice uzbeka, sottolineano un aspetto non secondario riguardante l’atteggiamento dell’opinione pubblica, informazione compresa. Ma anche degli stessi avvocati. Riguarda la presunzione di innocenza di coloro che sono implicati in una storia del genere.
“Ancora una volta – scrivono – i penalisti si trovano costretti ad intervenire in difesa della presunzione di innocenza e contro il dilagante sentimento “colpevolista” che talvolta si cela dietro l’informazione giudiziaria. Come se oltre 70 anni di Costituzione fossero passati solo per “Noi”, l’esigenza che il dovere di cronaca trovi la sua collocazione all’interno dei principi costituzionali, primo tra tutti quello sancito dall’art. 27, sembra non essere considerata un valore quanto, piuttosto, un fastidioso e inutile ostacolo alla frenetica corsa verso la “spettacolarizzazione” del dolore e delle pene altrui. Così, un episodio delicato come quello che vede coinvolti quattro giovani diventa in un istante fatto di cronaca da sezionare, manipolare e rivendere; per di più, cosa ancor più grave ed altamente lesiva del diritto alla privacy, nel caso di specie sono state pubblicate anche le foto dei soggetti – solamente – indagati”.
Gli stessi legali della difesa dei presunti responsabili avevano protestato. Nel loro intervento gli avvocati penalisti senesi sottolineano l’esistenza di “un clima di totale assuefazione a queste modalità di informazione”, nel quale “ si consuma quello che definiscono” l’ennesimo processo fuori dal processo, in cui gli organi di stampa assurgono a Giudice e Pubblico Ministero, “criticando soprattutto la titolazione dei giornali che hanno coperto la storia. Titoli che “sono la granitica manifestazione della sempre più marcata erosione della presunzione di innocenza che, nel “processo” mediatico, trasforma l’indagato in un colpevole in attesa di giudizio. Ci vien da concludere, dunque, che questa, come molte altre, è la plastica rappresentazione del livello e della qualità della cronaca giudiziaria nel nostro Paese, alla smaniosa caccia di far numero di lettori, anche a costo di fomentare immotivata indignazione e kermesse forcaiole”.
Non manca per finire anche una critica anche alla categoria degli avvocati: ”talvolta ci rendiamo compartecipi di tali derive mediatiche, e per farlo al meglio ci affideremo alle pesate parole del professore e avvocato Vittorio Manes quando ha scritto che «quando l’avvocato si presta a questo gioco lo fa però a suo rischio e pericolo, perché difficilmente governerà le correnti di opinione che si agitano nel vortice mediatico, dove il passo dai Campi Elisi alle paludi dello Stige può essere davvero breve”.