di Umberto De Santis
SIENA. Non potevi fare a meno di notarlo, quando camminava in Banchi di Sopra. Non tanto per quell’altezza, assai considerevole negli anni ’70, che insieme alla mano calda ed educata lo aveva portato a Siena dalla natìa Livorno per giocare a pallacanestro con la Mens Sana. Ma per quel baffo double face, mezzo bianco da un lato e mezzo nero dall’altro, che lo rendeva unico. Unico come la sua bonomia per nulla semplicistica con una puntina di malizia come la toscanità esige. Unico come il suo sorriso smitizzante quando si parlava di basket o delle altre cento cose che lo interessavano della vita, senza mai prendersi ponderosamente troppo sul serio.
E poi c’era il mare. C’era la festa ogni volta che andava agli scogli livornesi per poi tornare tra noi e raccontare con tanti particolari di quel polpo e di quel tuffo nel blu tra una doccia nella palestra di Rapolano – dove era arrivato per vivere con Siria la seconda tappa della sua vita matrimoniale – e una pizza veloce prima di mezzanotte nelle crete senesi con un gruppo di cestisti volenterosi ma abbastanza scassati. Ci guidava con la sua forza serena, sapeva sopportare la pochezza tecnica di qualcuno (specie chi scrive), riuscendo a farci dimenticare che, perbacco!, lui era davvero un personaggio importante a Siena. Luigi Paoli non è più con noi, e ci ha lasciati, in una calda giornata estiva, per un malore a Follonica proprio davanti al suo mare. Toccherà ad altri, meno coinvolti personalmente, ricordare le sue gesta di campione locale, dei 16 inutili punti segnati nel 1972 alla Gamma Varese e di un sogno spezzato, di una storica promozione in serie A l’anno seguente nel Dodecaedro che le cronache di allora riferirono “stracolmo”.
Tra i tanti episodi che nella tristezza del momento vengono alla mente, ce n’è uno che lo tratteggia molto bene. Torneo UISP verso la fine degli anni ’80, partita molto accesa negli animi: gli avversari di città soffrono perché questi “rapolanesi” sono tosti per essere di provincia. Qualche parola vola alta insieme a qualche spintone di troppo. Fallo, e tiro libero per “il” Paoli. Serio e compunto, con la palla nella sua manona, parte con il gesto del tiro. L’area si affolla per il rimbalzo, spinte e strattoni – forse qualche gomito – per prendere posizione. Teste all’insù, attonite: dov’è finito il pallone? Gli occhi si girano verso Luigi, con la palla in mano a mezz’aria, che se la ride di gusto. Ci guardiamo tutti l’un l’altro e ci sentiamo parecchio bischeri. Mettere in piedi una quasi rissa per una partitella di pallacanestro: sistemati a dovere, e senza fare la predica.
Per la cronaca, su quel libero non ci fu rimbalzo per nessuno.
Ciao, Luigi, la terra ti sarà certamente lieve.
(La foto fa parte dell’archivio di Augusto Mattioli)