SIENA. I finanzieri del Comando Provinciale di Siena nella giornata di ieri hanno eseguito un provvedimento di “sequestro preventivo d’urgenza” emesso dalla Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, nei confronti di diversi soggetti sospettati di far parte di un sodalizio criminale dedito alla commissione di delitti in materia tributaria, di bancarotta fraudolenta e di riciclaggio.
Il decreto ha disposto provvedimenti cautelari reali anche sul patrimonio immobiliare riconducibile al sodalizio criminale – ubicato nelle province di Reggio Calabria, Siena, Milano, Roma, Catania e Vicenza – il cui valore è stimato in complessivi 5 milioni di euro. Tra i beni sequestrati anche un prestigioso immobile ubicato nel centro storico della città del palio, intestato a familiare di uno dei responsabili; allo stesso familiare sono risultate anche riconducibili, e pertanto sottoposte a sequestro, sia le quote di due società, di cui una con sede a Milano e l’altra nella provincia senese, che i saldi attivi dei conti correnti.
Le investigazioni svolte hanno permesso di rilevare l’esistenza di una struttura organizzata, composta da 10 responsabili, dotata di un meccanismo ben collaudato, posta in essere con lo scopo precipuo di evadere le imposte in modo fraudolento e sistematico, sia attraverso l’emissione e l’utilizzo di fatture relative ad operazioni inesistenti sia attraverso l’omessa dichiarazione dei redditi prodotti, portando al fallimento le società non ritenute più idonee allo scopo illecito e riciclando i relativi proventi delittuosi; dominus – in termini commerciali e amministrativi – del sistema fraudolento è risultato essere M.V. definito da un collaboratore di giustizia “uno dei più grandi truffaldini che io abbia conosciuto nella storia della terra”, egli è stato, da ultimo, coinvolto nell’operazione “Il Principe” condotta dalla Questura e dal Comando Provinciale Carabinieri di Reggio Calabria per il delitto di estorsione aggravata dal metodo mafioso.
Gli autori dei reati hanno distratto e/o dissipato le merci e i beni aziendali nonché le relative disponibilità finanziarie mediante numerose operazioni bancarie (emissione di assegni, disposizione di bonifici dai conti corrente societari verso conti personali e cospicui prelevamenti in contanti) di valore sproporzionato rispetto alla consistenza patrimoniale della società, causandone il dissesto e la successiva bancarotta.
L’attività investigativa ha svelato frequenti contatti afferenti a flussi finanziari giustificati da rapporti commerciali, apparentemente leciti, tra le società riconducibili alla loro occulta gestione, nonché ha accertato l’esistenza di movimentazioni finanziarie da/verso un gruppo di società consortili di comodo, formalmente amministrate da soggetti di origine calabrese gravati da numerosi precedenti penali e tutte dichiarate fallite, nonché bonifici eseguiti verso una società maltese.
I trasferimenti sono stati effettuati anche in maniera frazionata per eludere la normativa antiriciclaggio ed ostacolarne la provenienza delittuosa. Sono stati così “ripuliti” diversi milioni di euro, causando il dissesto e la successiva fraudolenta bancarotta di quattro società.
La Guardia di Finanza, seguendo le direttive impartite dall’Ufficio di Procura reggino, ha svolto articolate indagini a carattere economico/patrimoniale – ai sensi dell’art. 240 bis c.p. (già 12 sexies D.L. 306/1992) – volte all’individuazione dei patrimoni illecitamente accumulati dai componenti il suddetto sodalizio, tenuto conto della possibilità prevista dalla legge di confiscare il denaro, i beni e le altre utilità di cui gli indagati non possano giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona, risultino titolari o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica.
Al riguardo, valorizzando le risultanze di pregresse indagini, i finanzieri hanno dettagliatamente ricostruito le acquisizioni patrimoniali dirette e indirette effettuate dagli indagati negli ultimi 22 anni, per tutto l’arco temporale intercorrente dal 1997 alla data odierna, accertando l’effettiva esistenza di una rilevante sproporzione tra il profilo reddituale e quello patrimoniale.