Repetita juvant?

di Silvana Biasutti
SIENA. Una delle cose più difficili da mettere in atto è capire cosa pensa la gente. Infatti chi si occupa (seriamente) di comunicazione non si fida mai delle proprie idee, né di quelle del marito, e nemmeno del modo di pensare del luogo natìo o degli ex compagni di liceo (e ancora meno di quelli che ha incontrato all’università). Chi si occupa di comunicazione, ma soprattutto di pubblicità (che vuol dire spendere tanti soldi, anche se in pubblicità “expenditure” va inteso come investimento, cioè cosa buona e non mazzetta) investe parte di quei soldi per verificare come la pensa la gente. Non la gente intesa come tutto l’universo mondo, bensì quelli che ci interessano: quelli a cui si vuole vendere il proprio prodotto, o proporre il nostro servizio, o ammannire il nostro pensiero.
E una volta che abbiamo verificato che (come dicono tutt’ora gli ultimi pubblicitari veri ancora in vita):
- gli esquimesi se ne fanno un baffo dei nostri frigoriferi, con cui stiamo rilanciando l’economia (indonesiana); e inoltre che
- gli islamici, pur amando le dolci colline toscane e il made in Italy fashion (con cui stiamo foraggiando il lavoro del Bangladesh), continuano a fingere di non bere i nostri vini prelibati (che noi invece beviamo per consolarci rispetto alle due voci precedenti); e ancora che
- a parte le coppie gay che spasimano per avere un figlio (quantunque non a chilometro zero), le altre coppie, sposate o meno, evitano accuratamente di realizzare il legittimo desiderio di diventare genitori pensando alla rata del mutuo, al voucher insufficiente per tirare a campà, al lavoro senza sicurezze (tanto è vero che l’unica consolazione, a costo zero, è proprio quell’abbraccio caldo e l’intimità focosa conseguente, tra i candidi lini della nonna, gratuiti) –,
tutto ciò verificato, eviteremo accuratamente di buttare soldi nella distribuzione dei nostri meravigliosi frigo al circolo polare Artico; fingeremo di credere alla parola degli islamici che professano di essere astemi e al massimo il vino glielo forniremo sottobanco; ci feliciteremo, in nome del politicamente corretto, con i gay neo genitori, anche se hanno commesso qualche banale infrazione …
Ma soprattutto, se abbiamo in magazzino alcune migliaia di ‘grosse’ di volantini che raccontano come si fa a far nascere i bambini, … ce le teniamo.
Oppure lavoriamo a una seria politica a sostegno della famiglia; iniziando con supporti non solo vocali al lavoro femminile, alla creazione di nidi, materne e centri innovativi che possano coadiuvare le mamme lavoratrici che sono riuscite a non farsi licenziare al primo segno di gravidanza.
Infine incaricheremo dei professionisti valenti (e non dei puffi amici) di mettere a punto – previa indagine di mercato – una campagna il cui obiettivo sia quello di sottrarre questo povero paese dall’arretratezza in cui sta naufragando. Vagliando bene che il costo contatto della campagna in oggetto sia bassissimo, perché in ogni caso trattasi dei soldi dei cittadini.