La storia di una neolaureata subito in ospedale durante l'emergenza
di Augusto Mattioli
SIENA. Come i ragazzi del ’99 gli infermieri neoassunti dall’Azienda ospedaliera universitaria sono stati mandati in prima linea per misurarsi con il coronavirus. Per chi ha qualche lacuna in storia ricordiamo che i giovani nati nel 1899 furono mandati in guerra dopo la disfatta dell’esercito italiano a Caporetto e, secondo gli storici, dettero un forte contributo alla vittoria dell’Italia nella prima guerra mondiale.
Gli infermieri sono stati utilizzati subito proprio nel reparto Covid, che l’Azienda ospedaliera ha messo in funzione rapidamente e nel quale si è combattuta la battaglia contro l’epidemia, e – a quanto sembra – anche vedendo la situazione attuale, si sono comportati bene come quei giovani diciottenni mandati in prima linea.
Racconta una giovane infermiera che dopo la laurea aveva fatto un concorso nel 2019 per l’assunzione alle Scotte ma che, in attesa, aveva trovato lavoro in una casa di riposo. Poi in prima linea ha scelto di andarci.
“Lavoravo per assistere gli anziani ospiti della casa di riposo dove già fin dall’inizio dell’epidemia i visitatori non entravano per evitare agli ospiti contatti con l’esterno. La chiamata è arrivata con l’aggravarsi dell’epidemia”. E la vita della ragazza è cambiata da un giorno all’altro. “Ovviamente, iniziando questo lavoro, avevo una certa paura, soprattutto per i miei familiari. Per cui sono andata a vivere da sola. Ma ho accettato per fare il mestiere per il quale ho studiato e mi sono laureata. E anche perche sento che è stimolante sentirsi partecipi di questa cosa”.
L’inizio per lei e tutti i neo assunti nel reparto è stato difficile per mancanza di esperienza di lavoro in ospedale. “Non ne avevamo, siamo andati in un reparto praticamente vuoto, iniziando a lavorare in una situazione davvero difficile e non sapendo all’inizio dove mettere le mani”.
Ma sono bastati pochi giorni perche l’organizzazione dell’assistenza ai malati migliorasse. “ Sì, ci siamo organizzati meglio, ci siamo conosciuti. E l’aspetto più bello è stata l’unione che siamo riusciti ad avere tra tutti noi, infermieri e medici nel lavorare insieme per un unico scopo. Davvero è stata una esperienza formativa che ci sarà anche utile per il futuro. Anche umanamente. All’inizio c’erano situazioni che ti facevano male come il fatto che i parenti delle persone ricoverate non potessero entrare nel reparto. Avendo lavorato in casa di riposo mi sono abituata a pensare di avere a che fare con persone reali, non più solo di casi da manuale, da studiare su un libro, e a tenere conto delle loro esigenze. Lo stesso atteggiamento l’ho avuto anche con i malati del reparto che, lo vedevamo, avevano bisogno di avere rapporti con qualcuno. E mi è dispiacuto, nei momenti in cui eravamo molto impegnati, non poter dedicare loro maggiore tempo”.