Una collaboratrice di Roberta Bruzzone recensisce il libro di David Vecchi che racconta la morte del capo della comunicazione Mps
“LECCE. La famosa criminologa Roberta Bruzzone, due volte si occupò del tristissimo caso di David Rossi (nella propria rubrica sul settimanale “Giallo”; la testata diretta da Andrea Biavardi che se ne occupò anche mediante un ulteriore articolo) e, dopo la seconda archiviazione, concluse che “Sulla scorta di quanto emerso fino a ora, a mio avviso, è però assai probabile che quel salto nel vuoto Rossi non l’abbia fatto di sua volontà e bene fanno i familiari di Rossi a continuare la loro battaglia per la ricerca della verità”. Battaglia assolutamente vana, in quanto siamo in Italia. Superfluo (certamente a Siena) rammentare che siano trascorsi oltre quattro anni ed otto mesi dal 6 marzo 2013. Comunque pubblichiamo (in esclusiva nazionale), a firma della sua stretta collaboratrice, Isabel Martina, la recensione al recente libro di Davide Vecchi, “Il caso David Rossi – Il suicidio imperfetto del manager Monte Paschi di Siena” (a Siena si è esaurito in pochi giorni, è stato venduto anche all’estero e si approssima la quinta ristampa). Trattasi di una criminologa investigativa laureatasi presso l’Università di Bologna. Specializzatasi presso il Laboratorio Sperimentale della stessa università (Polo di Forlì), diretto dall’esimio professore avvocato Francesco Donato (già dirigente della Polizia di Stato, docente di criminalistica e formatore delle Forze Armate, Consulente Tecnico d’Ufficio per quanto riguarda la balistica nel caso del Mostro di Firenze e, tra le ancora tante, già docente in Balistica Forense ed Indagini Tecniche al Corso d’Investigazione presso l’Università di Siena). Inoltre, Isabel Martina ha frequentato un Master presso l’AISF di Roma – l’Accademia Internazionale delle Scienze Forensi (diretta dalla professoressa Bruzzone) –, specializzandosi in Psicologia Investigativa, Psicopatologia e Psicodiagnostica applicata al Diritto Penale e Civile (con la votazione di 110/110 e lode e svolgendo una tesi ed il tirocinio formativo sull’inquietante caso di Roberta Martucci, al quale tuttora lavora, insieme a diversi altri. La Martucci era una ragazza pugliese che scomparve nel lontano 1999).
Carlo Infante”
ROMA. Avrei preferito leggere un giallo! E’ ciò che ho pensato chiudendo la pagina 160 del libro di Davide Vecchi sul “suicidio imperfetto” del manager del Monte dei Paschi di Siena, David Rossi. Un libro che si legge tutto d’un fiato, un modo figurativo per dire che da quando ho aperto questo libro non sono più riuscita a chiuderlo! Una chirurgica e cronologica descrizione degli accadimenti, una penna distaccata, pulita, priva di orpelli e sensazionalismi. In effetti il caso di David Rossi non ha bisogno di tingersi di giallo, perché non è un giallo come sottolinea più volte il suo autore, è purtroppo una vicenda reale e la realtà in cui tutto ha un inizio e una fine è Siena, perché come scritto testualmente nel volume “Quello di David era un cadavere eccellente. Un senese doc, un contradaiolo della Lupa, l’unico manager MPS nato e cresciuto in città. Ma soprattutto un amico e collaboratore fidato di Mussari, principale indiziato della crisi del Monte” e così, capitolo dopo capitolo, si ha la sensazione di comprendere chi era David Rossi, di intuirne il suo stato d’animo nei giorni che hanno preceduto la sua morte e di provare un’umana affinità nella dimostrazione dei suoi timori.
Il lettore informato sul caso, ma anche quello che si approccia al libro per il desiderio di approfondire la vicenda (che ha avuto, oramai, anche clamore televisivo), ha l’opportunità di raccogliere elementi di indagine e dettagli più che mai utili per costruirsi una sua libera idea. Definirei il libro un vero e proprio “fascicolo compatto”. Se si vuole cercare degli scoop o delle rivelazioni choc, non si possono certamente trovare in questo libro, proprio perché Davide Vecchi vuole un lettore attento, in grado di fare una sua ricostruzione logica e personale dei fatti riportati, mettendoli insieme come farebbe un vero e proprio detective di un libro giallo.
Da subito anche un lettore disattento o disinformato può avere la percezione che vi siano molti punti oscuri sui fatti antecedenti e successivi alla morte del manager.
Ho apprezzato il capitolo “Non è un romanzo giallo” in cui l’autore prova a dare a David un finale diverso e forse doveroso, ma sicuramente più coerente, di chi vi ha indagato da principio mettendo insieme rilevanze degli atti delle indagini espletate, quelle poche. Un finale coraggioso che inquadra David esattamente per l’uomo che si ha la percezione che sia. Un uomo intelligente, intuitivo, vessato però dalle circostanze in cui è stato coinvolto per forza di cose, un uomo che vuole parlare perché sa qualcosa e ha paura di “finirci di mezzo”, un uomo sicuramente “tradito da un amico”, come confidato al fratello poche ore prima del “suicidio imperfetto”, un uomo che aveva chiesto aiuto, tramite delle mail, all’amministratore delegato del Montepaschi, fino a dichiarare di volersi suicidare ma che, poco dopo il rifiuto di quest’ultimo di aiutarlo a parlare con la magistratura, capendo forse di aver commesso un passo falso, glissa scrivendogli “Hai ragione, sono io che mi agito e mi sono spaventato dopo l’altro giorno.”.
Chissà cosa era accaduto quel famoso “l’altro giorno”, tanto da agitare David fino a dichiarare il suo intento suicidario? Sempre che quella mail, che dimostra uno stato d’animo molto alterato, mandata nel mezzo delle mail che, invece, dimostrano un David pauroso sì, ma determinato, l’abbia scritta e inviata proprio lui.
Certo è che il manager era al limite, credeva anzi era certo di essere intercettato, di avere cimici in casa e di essere persino pedinato. Mi viene da porre alcuni quesiti a chi legge, proponendomi proprio nel fine ultimo dell’autore, ossia che alla fine della lettura del libro, ogni libero cittadino, mettendo insieme i tasselli descritti dallo stesso, possa concedersi il “lusso di raccontare” il caso di David Rossi dalla sua prospettiva. Molte sono le domande che meriterebbero una risposta, ad esempio: perché disporre la distruzione degli unici reperti trovati nell’ufficio di David Rossi, compresi i sette fazzoletti di carta sporchi di sangue? Perché questi fazzoletti non sono stati mai analizzati e presi in considerazione? Avrebbero potuto celare qualcosa? Mi domando se il manager avesse fatto tutto da solo e i fazzoletti fossero serviti per tamponare ferite che si era autoinflitto, perché non analizzare questi ultimi ed escludere così la presenza di altre persone, andando a rafforzare l’ipotesi ricostruita dalla Procura, che continua ad affermare di avere la certezza che si tratti di suicidio ogni oltre ragionevole dubbio? Seppur il dubbio sui fazzoletti un po’ sorge, mi domando perché auto infliggersi delle ferite se ci si vuole lanciare dalla finestra del proprio ufficio?
Ipotizzando la presenza di terzi nell’ufficio di Rossi, mi domando se questi che stavano per defenestrarlo avessero bisogno di tamponargli delle ferite e per quale ragione poi… se i biglietti trovati in fondo al cestino e indirizzati alla moglie Antonella, biglietti in cui la chiamava “Toni”, come usavano chiamarla solo le persone più care e mai David, pur sapendo che alla moglie avrebbe fatto piacere, non siano stati scritti sotto coercizione e si sa che, per costringere qualcuno a scrivere qualcosa, qualcuno come David, forse bisogna passare alle maniere forti, difatti il corpo di David presentava numerosi ematomi, non compatibili con la caduta, ossia alle braccia ed al torace, ferite al viso e non è tutto. Si potrebbe ipotizzare che David avesse chiamato la moglie Antonella “Toni” come ultimo atto prima del suo “suicidio imperfetto”, ma rovesciando la medaglia si potrebbe anche spiegare tale soprannome come ultimo atto d’amore di qualcuno che sa che sta per morire e che vuole far capire, purtroppo, contro la sua volontà. Forse per via di una colluttazione David sanguinava e forse avrebbe potuto macchiare i biglietti che servivano a dimostrare la sua volontarietà nel commettere tale atto e le macchie di sangue avrebbero stonato un quadro “perfetto”. Forse su quei fazzoletti si sarebbe potuto trovare il DNA di chi ha ucciso David, di chi quindi gli ha passato i fazzoletti per potersi tamponare le ferite. Non avendo contezza né del tipo di biglietti, né del tipo di carta sul quale sono stati scritti, né del tipo di conservazione degli stessi, né di quante persone li abbiano maneggiati, mi domando – sempre nell’ipotesi che qualcuno abbia costretto David a scriverli e nell’ipotesi che la stessa persona li abbia poi strappati e riposti in fondo al cestino – se non fosse possibile ricercare su di essi delle altre tracce biologiche, forse fantascienza, forse roba da libro giallo, ma è l’unica cosa che David ha toccato con mano e, forse, l’unico messaggio che ha potuto davvero lasciarci.
Resta la ferita a forma di V aperta al cranio che fa presupporre uno scenario diverso dal suicidio imperfetto, ossia che qualcuno abbia tramortito David con un corpo contundente e poi, prendendolo sotto le braccia e tenendolo dai polsi, l’abbia defenestrato, staccandogli l’orologio Sector e imprimendoglielo sui polsi, e che poi (forse) si vedrà cadere successivamente alla caduta del manager. Tanti e troppi dubbi adombrano il “suicidio imperfetto” di David Rossi e anche domani, per chi grida alla verità e per i suoi cari, potrebbe essere già tardi.
Isabel Martina