Del progetto originario che riguardava il complesso è rimasto ben poco
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SIENA. Scrivere del Santa Maria della Scala non è facile e attualmente non può che generarmi dolore per la situazione nella quale si trova l’antico Ospedale di Siena. Non voglio affrontare le questioni relative alla forma giuridica e al balletto a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, sul quale mi limito ad osservare che un assetto giuridico non dovrebbe derivare dalla sistemazione di qualche amico o di qualche promessa elettorale, ma dalla ricerca della miglior soluzione per la vita dell’istituzione stessa. L’altro rilievo è che mai come oggi l’Ospedale è stato così lontano dal sentire dei senesi mentre, quando era nel pieno delle sue attività, ha sempre costituito uno spazio importante nella quotidianità della città e del territorio. La gestione Cenni lo ha accademizzato e di fatto privatizzato, provocando una separazione dal sentire collettivo invece di affrontare un difficile lavoro di pieno recupero alla vita cittadina (dal punto di vista sociale e antropologico), che sarebbe stato indispensabile per un ambiente storico che stava cambiando le sue funzioni. Tutto questo è avvenuto perché la classe dirigente che ha governato la città dal 2001 non ha, di fatto, creduto al progetto Santa Maria e ha spostato su altre direttrici le risorse ingenti che aveva a disposizione, sia per la soddisfazione personale di affossare un progetto della giunta precedente, sia perché la responsabile del Santa Maria, Anna Carli, si é dimostrata debole e subalterna ai desideri del sistema, cui essa stessa apparteneva. Si sono così inseguiti progetti alternativi, mai realizzati ma che hanno assorbito risorse, quali il recupero dell’area del Rastrello, con l’auditorium, la Fortezza e il nuovo stadio. L’auditorium imposto in quel luogo, e non al Santa Maria, dal presidente della Fondazione Mussari, facendo pesare le risorse che avrebbe messo a disposizione, ha tra l’altro assecondato un errore urbanistico che è un vecchio retaggio di architetti che restano ancora legati al progetto di Alvar Aalto e sottovalutano le potenzialità del Santa Maria di riequilibrare, a pieno regime, i carichi urbanistici del centro della città.
Da qui discende la mancanza di risorse per l’antico ospedale, che non è riuscito ad arrivare velocemente ad punto di sostanziale equilibrio economico. Senza le parti commerciali è impossibile infatti che un museo possa raggiungere l’autosufficienza economica, e per commerciale non si intende soltanto il ristorante, le boutique o chissà che altro. In questo senso é stato un errore che la Fondazione non abbia messo a disposizione dell’organismo museale il Palazzo del Capitano, oggi in vendita, che sarebbe stato essenziale per la definizione di un “centro documentale dell’arte figurativa senese”. Il palazzo, per le sue caratteristiche di esposizione alla luce, si sarebbe ben prestato ad accogliere i laboratori di restauro, specializzati, oltre alla sistemazione delle biblioteche di alcuni storici dell’arte di cui quella di Briganti sarebbe dovuta essere solo la prima. Materiale che avrebbe dovuto privilegiare soprattutto la parte fotografica e quella delle schede e dei brogliacci di lavoro dei restauratori. Obiettivo? Chiunque avesse voluto studiare o lavorare sulle opere senesi avrebbe dovuto in qualche modo venire o comunicare con il Santa Maria e con Siena. Ciò che rimane di quel progetto originario é ben poca cosa. Le proposte che si leggono o che vengono suggerite considerano l’antico ospedale un semplice contenitore da riempire con le più svariate funzioni. Non partono dall’idea che oltre ad essere già un museo di se stesso e centro espositivo, magari del grande patrimonio artistico senese, il Santa Maria della Scala conserva ancora le potenzialità per diventare un centro di produzione culturale capace di fare quella sintesi fra arte ed economia oggi più che mai necessaria per il pieno recupero funzionale del meraviglioso complesso ospedaliero. Una capacità che sopravvive al tempo ed alle occasioni perdute, senza entrare nel dettaglio delle mostre preconfezionate che sono state acquistate all’esterno e degli allestimenti autoreferenziali con scarsa attenzione per gli oggetti esposti.
In sintesi, il principale aspetto che è mancato a chi ha governato le istituzioni senesi è stata quella creatività che nasce e si rafforza di fronte ad uno stato di necessità; ma loro erano seduti su una montagna di denaro e di potere convinti, erroneamente, che tutto fosse possibile e illimitato.
Pierluigi Piccini