Cervidi e cinghiali provocano danni agli alberi ma anche ai muretti a secco
di Andrea Pagliantini
GAIOLE IN CHIANTI. Tempo di raccolta olive e di sensazioni gustative sulle fette di pane intinte nel verde prelibato dell’olio nuovo.
Ma anche tempo di vedere nel dettaglio i danni alle coltivazioni e ai manufatti antichi che l’eccesso sconsiderato di capi di bestiame allevati producono sul territorio chiantigiano.
Da terra, fino all’altezza degli occhi, le foglie degli ulivi – nel dettaglio le gronde che producono olive – sono avidamente brucate da daini, cervi e caprioli che non lasciano il tempo alla pianta di riprodurre una foglia, rendendola sterile da frutto all’infinito e facendole subire un’impennata e uno sviluppo verso l’alto di difesa dagli attacchi animali.
Ma non solo gli ulivi sono presi di mira, qualsiasi tipo di pianta – con predilezione per i frutti e i cipressi – sono ambito sfogo di sbbucciatura per alimento o per la pulizia delle corna.
Un cipresso di oltre venti anni scaraventato in terra dalla furia di cervi o caprioli, altri simili sbucciati e mandati a morte certa, pezzi di frutto o di olivo divelti dalle piante e dulcis in fundo, gli antichi terrazzamenti in pietra dove il grufolare dei cinghiali alla ricerca di olive cadute comporta il disfacimento di interi pezzi di muro a secco, che solo pochi volenterosi avranno le forze o si sentiranno in dovere di rimettere in sesto fino alla prossima scorribanda.
Ai signori della Regione, che si vantano della bontà e prelibatezza dei prodotti agricoli e della bellezza del paesaggio (fatto da altri e in altre epoche) un invito a fare un giro nel Chianti per constatare di persona come la politica di allevamento degli ungulati sia sempre più un serbatoio di maledizioni e non di voti.