SAN GIMIGNANO. Il garante regionale Giuseppe Fanfani ha scritto una duralettera ai ministri Carlo Nordio e Giancarlo Giorgetti (Giustizia ed Economia), al capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Giovanni Russo, al provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria Gloria Manzelli e per conoscenza a Regione, Consiglio regionale, garante nazionale dei detenuti e garanti territoriali della Toscana e alle Università di Firenze, Pisa e Siena.
Il motivo scatenante è il pignoramento da parte dell’Agenzia delle Entrate delle borse di studio di due detenuti del carcere di Ranza, annullando di fatto ogni sforzo per rendere effettivo il diritto allo studio delle persone in carcere. La Regione, infatti, stanzia risorse ingenti per finanziare percorsi formativi per detenuti.
“La cosa pare tanto paradossale quanto ingiusta e socialmente inammissibile, oltre che contraria alla Costituzione e ad ogni buon senso”, scrive Fanfani, che si aspetta una “immediata comunicazione agli interessati dell’avvenuta rinuncia all’azione esecutiva. Non esiterò a convocare una conferenza stampa sul punto ma prima ho ritenuto di scrivere alle massime realtà istituzionali perché possano porre rimedio ad una prassi così insensata”.
La vicenda, come detto, parrebbe ad ora coinvolgere due detenuti del carcere di San Gimignano. Ad uno in particolare – come si legge in un’altra, accorata lettera arrivata al garante toscano e firmata dai professori Maria Paola Monaco, Andrea Borghini, Gianluca Navone, Antonella Benucci, rappresentanti del Polo universitario della Toscana – lo scorso 7 giugno Agenzia delle Entrate Riscossione per la Provincia di Siena ha notificato un “atto di pignoramento dei crediti verso terzi”. È stato cioè ordinato all’Azienda regionale per il Diritto allo Studio Universitario della Toscana di pagare direttamente all’agente della riscossione tutte le somme di cui lo studente risulta essere creditore in qualità di titolare di una borsa di studio. In sostanza l’agente sta agendo per il recupero di crediti relativi a pregresse pene pecuniarie.
Si tratta di una “partita di giro di dubbia legittimità costituzionale, che intendo stigmatizzare con forza”, dichiara Fanfani.
Il caso, già paradossale e insensato, solleva anche un’altra non marginale questione: l’uso di pignorare le borse di studio per il recupero di cosiddetti “crediti di giustizia” potrebbe diventare una prassi generalizzata, . Non a caso i professori che hanno scritto al garante fanno osservare che “una borsa di studio, essendo strumentale all’esercizio di un diritto fondamentale della persona, non può essere trattata alla stregua di un qualsiasi altro credito”.