Inchiesta di Enrico Campana
(Seconda parte e ultima parte)
SINALUNGA. L’Azienda assicura di aver fornito tutte le garanzie richieste dallo Stato, derivanti da ricerche e studi e protocolli di vari ministeri, da quello del Lavoro a quello della Sanità e dell’Ambiente a quello del Tesoro. Si tratta anche di norme europee. L’impianto a biomasse in questione verrebbe alimentato da “cippato di legna vergine” per produrre “energia rinnovabile” (1 Mw) e calore (3Mwt). Niente a che fare col mostro (potenza 24 Mw!) di Piombino, inoltre questo impianto chianino è a filiera cortissima, potendo l’azienda agricola usare legname proprio.
Da anni ben 120 impianti simili sono in esercizio in Trentino-Alto Adige, Lombardia, Piemonte. Da ultimo è stato aperto quello di Calenzano, vicino a Firenze, realizzato da una società mista costituita dal Comune e soci privati. Poteva essere una buona idea, no? Produce comunque energia elettrica e termica, è distribuita agli utenti mediante una rete di teleriscaldamento. Quella termica è utilizzata per l’area sportiva di Calenzano (piscine, palazzetto, campi sportivi e altri locali) e nuove strutture direzionali, residenziali e universitarie. Possibile che a 100 chilometri di distanza lo stesso impianto, secondo due espressioni dello stesso partito di maggioranza, sia utile e nocivo?
Ci voleva poco a prendere il progetto-pilota di Calenzano, riscontrati i vantaggi e l’impatto sull’ambiente e la soddisfazione della popolazione? Quello fiorentino “divora” 10 mila tonnellate all’anno, 30 giornaliere sulle 24 ore, la metà derivante da potature di Quadrifoglio, di ulivo e recupero pulizie dei torrenti e la metà da tagli boschivi. Il corretto rinnovamento dei boschi, sostiene la Forestale, è basilare per l’ambiente: un bosco trascurato è pericoloso e uccide lentamente l’ecosistema.
Nel dialogo ovattato fra Comune e privato (“non toccava a noi questo compito, abbiamo sempre puntato a dare le massime garanzie tecniche, il protagonismo non fa per noi”, precisa il coordinatore dell’operazione), piomba con un volantino – il 30 luglio scoros – l’Associazione Don Chisciotte. “Dobbiamo capire se il consumo di risorse del nostro territorio porterà benefici adeguati, oppure solo un impoverimento delle risorse, della qualità della vita e della capacità attrattiva del nostro Comune”.
Segue il passaparola, e la diffusione di un pieghevole che annuncia una chiusura totale: “Inceneritore di Biomasse: no”. Si agitano “preoccupazioni da più parti” e sospetti cedimenti delle autorità locali: “Purtroppo le dichiarazioni – si legge poi in un comunicato – rivelano resa incondizionata del partito di maggioranza, che dichiara di non avere strumenti per impedire la costruzione, apponendo come giustificazioni leggi contraddittorie e interpretabili”.
Il no “donchisciottesco” fa leva su tre cardini: la sostenibilità ambientale del termovalorizzatore, la sua ubicazione, le troppe incertezze sul materiale da bruciare. E porta subito alla costituzione di un Comitato e alla convocazione di un’assemblea pubblica il 10 settembre.
“La nostra – tuona Silvia Rencinai, presidente di Don Chisciotte – è un’associazione politica-culturale, facciamo anche corsi di scacchi per i ragazzini. Di fronte a questa disinformazione inaccettabile, non c’era altro modo per farci ascoltare; e proprio la gravità della situazione ha determinato la nascita di un comitato con un centinaio di persone. Purtroppo questo succede quando la politica è carente”
L’ingegner Alberto Flori, uno dei massimi esperti in materia responsabile del progetto tecnico (quello strutturale e urbanistico è firmato dall’architetto Alessandra Cresti), un “baudengo tosto”, mette sul tavolo pacatamente certezze scientifiche, richiamando alla reale dimensione del progetto, presentato a torto come una Centrale. Si tratta invece di un edificio di “soli” 100 metri quadrati usato come essiccatoio d’estate e generatore di calore per le serre d’inverno. “Il cippato utilizzato – spiega – sarà prodotto dalla stessa azienda agricola utilizzando tagli periodici di bosco ceduo o di conifere nella disponibilità dell’azienda, autorizzati dall’amministrazione provinciale di Siena e controllati dal Corpo Forestale dello Stato. Autorevoli associazioni ambientaliste, quali Legambiente, considerano questi impianti molto utili all’ambiente e ne auspicano la realizzazione e diffusione. Nello stesso sito si può verificare facilmente la presenza in 800 comuni italiani di impianti a biomasse, di cui 500 funzionano a cippato. La Regione Toscana ha finanziato direttamente la realizzazione di questi impianti nelle comunità Montane dell’Amiata (Piancastagnaio), della Val di Merse (Monticiano), in Lunigiana e nell’Aretino”.
Naturalmente è un po’ disorientato Salvatore Spanò, uno dei due imprenditori che investiranno 4 milioni di euro per la realizzazione dell’impianto. “Abbiamo scelto la strada più rispettosa, quella del dialogo e così continueremo. Fin dal primo momento abbiamo offerto massima collaborazione e, naturalmente, le massime garanzie come viene richiesto. Possiamo assicurare ogni tipo di controllo, ad esempio, un impianto di videosorveglianza 24 ore per vedere cosa si brucia. Sull’impianto lavoreranno inoltre circa 15 persone, e dei sette camion dell’azienda che circolano ogni giorno due verranno destinati ai rifornimenti, dov’è quindi il problema di viabilità? Capisco le preoccupazioni, ma definire questo impianto un inceneritore finisce per creare erronee psicosi”.
(Nella foto, l'impianto di Calenzano)
(Seconda parte e ultima parte)
SINALUNGA. L’Azienda assicura di aver fornito tutte le garanzie richieste dallo Stato, derivanti da ricerche e studi e protocolli di vari ministeri, da quello del Lavoro a quello della Sanità e dell’Ambiente a quello del Tesoro. Si tratta anche di norme europee. L’impianto a biomasse in questione verrebbe alimentato da “cippato di legna vergine” per produrre “energia rinnovabile” (1 Mw) e calore (3Mwt). Niente a che fare col mostro (potenza 24 Mw!) di Piombino, inoltre questo impianto chianino è a filiera cortissima, potendo l’azienda agricola usare legname proprio.
Da anni ben 120 impianti simili sono in esercizio in Trentino-Alto Adige, Lombardia, Piemonte. Da ultimo è stato aperto quello di Calenzano, vicino a Firenze, realizzato da una società mista costituita dal Comune e soci privati. Poteva essere una buona idea, no? Produce comunque energia elettrica e termica, è distribuita agli utenti mediante una rete di teleriscaldamento. Quella termica è utilizzata per l’area sportiva di Calenzano (piscine, palazzetto, campi sportivi e altri locali) e nuove strutture direzionali, residenziali e universitarie. Possibile che a 100 chilometri di distanza lo stesso impianto, secondo due espressioni dello stesso partito di maggioranza, sia utile e nocivo?
Ci voleva poco a prendere il progetto-pilota di Calenzano, riscontrati i vantaggi e l’impatto sull’ambiente e la soddisfazione della popolazione? Quello fiorentino “divora” 10 mila tonnellate all’anno, 30 giornaliere sulle 24 ore, la metà derivante da potature di Quadrifoglio, di ulivo e recupero pulizie dei torrenti e la metà da tagli boschivi. Il corretto rinnovamento dei boschi, sostiene la Forestale, è basilare per l’ambiente: un bosco trascurato è pericoloso e uccide lentamente l’ecosistema.
Nel dialogo ovattato fra Comune e privato (“non toccava a noi questo compito, abbiamo sempre puntato a dare le massime garanzie tecniche, il protagonismo non fa per noi”, precisa il coordinatore dell’operazione), piomba con un volantino – il 30 luglio scoros – l’Associazione Don Chisciotte. “Dobbiamo capire se il consumo di risorse del nostro territorio porterà benefici adeguati, oppure solo un impoverimento delle risorse, della qualità della vita e della capacità attrattiva del nostro Comune”.
Segue il passaparola, e la diffusione di un pieghevole che annuncia una chiusura totale: “Inceneritore di Biomasse: no”. Si agitano “preoccupazioni da più parti” e sospetti cedimenti delle autorità locali: “Purtroppo le dichiarazioni – si legge poi in un comunicato – rivelano resa incondizionata del partito di maggioranza, che dichiara di non avere strumenti per impedire la costruzione, apponendo come giustificazioni leggi contraddittorie e interpretabili”.
Il no “donchisciottesco” fa leva su tre cardini: la sostenibilità ambientale del termovalorizzatore, la sua ubicazione, le troppe incertezze sul materiale da bruciare. E porta subito alla costituzione di un Comitato e alla convocazione di un’assemblea pubblica il 10 settembre.
“La nostra – tuona Silvia Rencinai, presidente di Don Chisciotte – è un’associazione politica-culturale, facciamo anche corsi di scacchi per i ragazzini. Di fronte a questa disinformazione inaccettabile, non c’era altro modo per farci ascoltare; e proprio la gravità della situazione ha determinato la nascita di un comitato con un centinaio di persone. Purtroppo questo succede quando la politica è carente”
L’ingegner Alberto Flori, uno dei massimi esperti in materia responsabile del progetto tecnico (quello strutturale e urbanistico è firmato dall’architetto Alessandra Cresti), un “baudengo tosto”, mette sul tavolo pacatamente certezze scientifiche, richiamando alla reale dimensione del progetto, presentato a torto come una Centrale. Si tratta invece di un edificio di “soli” 100 metri quadrati usato come essiccatoio d’estate e generatore di calore per le serre d’inverno. “Il cippato utilizzato – spiega – sarà prodotto dalla stessa azienda agricola utilizzando tagli periodici di bosco ceduo o di conifere nella disponibilità dell’azienda, autorizzati dall’amministrazione provinciale di Siena e controllati dal Corpo Forestale dello Stato. Autorevoli associazioni ambientaliste, quali Legambiente, considerano questi impianti molto utili all’ambiente e ne auspicano la realizzazione e diffusione. Nello stesso sito si può verificare facilmente la presenza in 800 comuni italiani di impianti a biomasse, di cui 500 funzionano a cippato. La Regione Toscana ha finanziato direttamente la realizzazione di questi impianti nelle comunità Montane dell’Amiata (Piancastagnaio), della Val di Merse (Monticiano), in Lunigiana e nell’Aretino”.
Naturalmente è un po’ disorientato Salvatore Spanò, uno dei due imprenditori che investiranno 4 milioni di euro per la realizzazione dell’impianto. “Abbiamo scelto la strada più rispettosa, quella del dialogo e così continueremo. Fin dal primo momento abbiamo offerto massima collaborazione e, naturalmente, le massime garanzie come viene richiesto. Possiamo assicurare ogni tipo di controllo, ad esempio, un impianto di videosorveglianza 24 ore per vedere cosa si brucia. Sull’impianto lavoreranno inoltre circa 15 persone, e dei sette camion dell’azienda che circolano ogni giorno due verranno destinati ai rifornimenti, dov’è quindi il problema di viabilità? Capisco le preoccupazioni, ma definire questo impianto un inceneritore finisce per creare erronee psicosi”.
(Nella foto, l'impianto di Calenzano)