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di Andrea Pagliantini
GAIOLE IN CHIANTI. E’ partito il percorso per candidare il territorio di produzione del Vino Chianti Classico, nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco.
Tale richiesta, come ovvio, è avallata dal Consorzio del Chianti Classico, dai comuni in cui in parte o interamente, si produce questo vino (omettendo Poggibonsi) dalla Regione Toscana, con il buon Eugenio Giani, che, per l’occasione, non vede l’ora di appiattire differenze storiche, naturali e paesaggistiche, pur di incentivare l’incursione di Toscana fashion nel mondo.
Come se gli ultimi trent’anni fossero passati invano e non fossero un motivo di riflessione tra il paesaggio, il consumo di suolo, la cura delle vigne, la loro durata, l’architettura di edifici (in molti casi mai più rivedibili e mutati profondamente dall’uso e dal motivo per cui erano stati edificati) un patrimonio storico modificato ampiamente, avendo spesso, scarsa sensibilità.
A proposito dei due Chianti, ovvero quello vero e quello inventato, vengono in mente le recenti parole di Roberto Barzanti (ex sindaco di Siena, ex parlamentare europeo, ex assessore regionale e attualmente presidente dell’Accademia degli Intronati): “Se tutto è Unesco, niente è Unesco” e, continua Barzanti: ” A un territorio così mal concepito dal punto di vista storico e geografico viene d’impatto da aggiungere un’altra considerazione, se tutto è Chianti, niente è Chianti”.
Un territorio disomogeneo che parte da Ponte a Bozzone e finisce quasi alle porte di Firenze, a Strada (non nel Chianti) dove dentro ci sono i luoghi dell’abbandono delle campagne dalla mezzadria (Radda, Gaiole Castellina) verso quei luoghi che venivano definiti come forestieri (Barberino, Tavarnelle ecc.) da Gino Tatini, (sindaco di Castellina nel 1963) che davanti alle telecamere della RAI, snoccialava i tristi numeri di quanti se ne erano andati dal paese.
Luoghi di castelli, vigne, boschi, più o meno immutati, (anche se patinati dagli anni ’80) il Chianti, luoghi mescolati ai capannoni del boom economico, che hanno cambiato di netto la fisionomia della Val d’Elsa e della Val di Pesa dal punto di vista abitativo e dal punto di vista demografico.
La commissione dell’Unesco, per valutare i territori, di fronte alla zona industriale di Tavarnelle, Sambuca, Barberino, Poggibonsi, troverà di fronte a sé una lunga linea di tessuto verde a parare i capanni prefabbricati realizzati nel corso degli anni.
Un territorio disomogeneo anche dal punto di vista sociale e di collegamenti, oltre che storico e paesaggistico: la Berardenga è Siena persino nella parlata, la Val d’Elsa, guarda a Poggibonsi, la Val di Pesa guarda a Firenze, mentre il Chianti guarda in parte al Valdarno (Radda e Gaiole), mentre Castellina è sospesa fra Siena e Poggibonsi.
A parte gli interessi legati al vino c’è poco altro che lega questi luoghi e le persone ci vivono.