di Andrea Pagliantini
SAN GUSME’. C’era chi davvero ci ha creduto a una svolta laica e progressista, a un trionfo dell’onestà per il bene comune, in un paese dove le necessità dovevano essere pari al lavoro svolto.
C’è chi ci credeva (ma a vari livelli) c’è chi è sempre stato lingua in bocca con gli oscillatori di turiboli e il presente è il frutto di quel grande matrimonio d’interessi da sempre perseguito fin dagli anni ’50.
Nel 1975, una massa di giovani esprime per la prima volta il proprio voto alle Amministrative e come un’onda la paura di vincere da una parte, e di perdere dall’altra, scolorisce la voglia di cambiare e di rendere l’Italia un paese più potabile.
In questo grande movimento di idee e di avvenimenti, ci sono le storie delle persone, di una ragazza madre che diventa segretaria di sezione (che stravolge i pensieri dei militanti dubitosi del fatto che se le donne principiano a occuparsi di politica, le loro cene e desine cominciano a essere sempre più insicure) e inizia a consumare un rapporto politico e personale con un dirigente democristiano.
La figlia risente dell’aria che frizza e non vuole vedere un’idea scolorire e si avvicina ai gruppi di sinistra più ardita che da sempre il partitone non tollera.
Sono anni di grande fermeto politico e sociale, la legge Basaglia apre i cancelli di quei luoghi di terrore che sono i manicomi, arriva la vittoria del Referenudm sul divorzio, viene istituito il Servizio Sanitario Nazionale, terrorismo, stragi (politiche e mafiose) stravolgono tutto e il Compromesso Storico è la restaurazione di chi ha tutto da guadagnare nel tirare a perdere.
Due regazzi degli anni ’70 (un giovane scrittore tedesco, la figlia della segretaria ragazza madre) che si ritrovano nei nostri giorni e ripercorrono la loro giovinezza e il loro sogno d’amore e di libertà, stravolto dal verminaio che sta dietro l’uccisione di Aldo Moro e la restaurazione dell’Italietta, cialtrona, servile, baciapile, forte con i deboli, genuflessa verso le ingiustizie.
La terza parte della “Stagione della memoria”, dopo le “Albicocche rosse” sulla strage del Palazzaccio, “La grande gelata” del ’56 che secca gli ulivi e le viti e porta la migrazione e il lavoro in fabbrica di un contadino della Berardenga, e il sogno infranto di un paese più pulito ed equo.