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Il ricorso chiedeva l’annullamento delle delibere: numero 52 del 27 marzo 2001, che avviava il percorso per individuare un’area sulla quale far sorgere il centro culturale islamico; numero 30 del 18 aprile 2003, che approvava la parte del regolamento urbanistico in cui si destinava una porzione dell’area nella zona de La Badia a servizi religiosi e culturali, sociali e ricreativi; numero 111 del 30 dicembre 2003, che concedeva il terreno in località San Lazzaro alla Comunità dei musulmani.
La sentenza, in modo ampio e completo, recita che “La censura è inammissibile in mancanza di una richiesta concorrenziale avanzata dai ricorrenti e non accolta per inadempienza della superficie residua dopo la concessione alla Comunità islamica. E’, parimenti, inammissibile la censura di eccesso di potere per difetto di motivazione, considerata la mancata dimostrazione di progetti alternativi, e quella per mancanza di motivazione per carenza di interesse, non essendo stata dimostrata la lesione dell’interesse di altre confessioni religiose a seguito dell’accoglimento della richiesta della Comunità islamica”. “E’ ancora inammissibile – continua la sentenza – la censura sulla differenza tra moschea e centro culturale islamico appare inammissibile per difetto di interesse, considerato che la moschea che i ricorrenti ammettono poteva essere allocata nella zona in questione. In ogni caso, considerata la destinazione dell’area a servizi religiosi e culturali, sociali e ricreativi, tanto l’edificio religioso quanto quello culturale poteva trovare allocazione nella zona concessa alla Comunità”.
“Dai toni della sentenza del Consiglio di Stato – continua la nota dell’amministrazione comunale – risulta, pertanto, respinta e illegittima ogni supposta lesione avanzata dal Comitato “Giù le mani dal parco” nonchè dalla Lista civica “Insieme per Colle”. Il Comune vede riconosciuto dalla Suprema Corte di aver operato nel pieno rispetto di norme e leggi. Dispiace notare come, invece, la presidente del Comitato, Letizia Franceschi, tenda a ridurre la portata della sentenza definendola ‘di poche righe’, mancando di onestà intellettuale nel riconoscere che sia davanti al Tribunale civile di Siena che davanti al Consiglio di Stato le sue posizioni sono risultate errate e inammissibili”.