Il racconto della storia in due documentari
LA STORIA DEGLI EBREI SENESI UCCISI AD AUSCHWITZ a cura di Juri Guerranti, autore di “Novembre 1943: accadde anche a Siena” e “1938-1944: la politica razziale del regime fascista a Siena” (ambedue disponibili gratuitamente su YouTube)
Durante le prime settimane della neonata Repubblica fascista di Salò, che considera gli israeliti come nemici della patria, la questione ebraica è già all’ordine del giorno. Dopo la massiccia retata del 16 ottobre a Roma, all’inizio del novembre ’43, su impulso dei tedeschi, non mancano arresti a Bologna, Firenze, Montecatini Terme e appunto Siena. Venerdì 5 novembre le scuole non sono ancora state riaperte e le prime pagine dei giornali parlano delle notizie dal fronte di guerra e, sul piano locale, delle modalità per la distribuzione del grano alla popolazione. Per alcuni ebrei senesi queste saranno le ultime notizie lette. Infatti, nella notte tra il 5 e il 6 novembre ’43, oltre 20 persone, tra cui bambini ed anziani, vengono arrestate da componenti della milizia fascista. Qualcuno sarà rilasciato, gli altri saranno consegnati ai nazisti. Di questi arresti è rimasta traccia nelle carte della Questura, dove un impiegato o un maresciallo di pubblica sicurezza, attestano, a posteriori, quanto accaduto il 5 novembre a Siena. In diversi casi scrivono che un determinato soggetto è stato arrestato e poi rilasciato. Queste persone sono scampate alla deportazione…Se da una parte c’è chi viene rilasciato, perché considerato ad esempio ebreo misto, dall’altra c’è chi, invece, viene trattenuto. Quasi 20 persone passano la notte del 6 novembre all’interno della caserma di piazza d’Armi, in attesa di essere trasferite, il giorno seguente, a Firenze. La quasi totalità di loro non rivedrà mai più Siena perché ‘trasferiti in altra località’: queste sono le parole che leggiamo nei documenti relativi all’arresto. Chi scrive forse non sa che ‘altra località’ significa viaggio verso la morte. La responsabilità della Shoah è da attribuire ai tedeschi che misero in atto la cosiddetta ‘soluzione finale’ in tutta Europa uccidendo milioni di innocenti. Ma anche gli italiani hanno in parte contribuito a questo sterminio di massa collaborando assai attivamente con i nazisti. Il caso di Siena ne è un esempio, come testimoniano gli appunti di Questura dove la presenza militare germanica, al momento dell’arresto, non è citata. Anzi viene sottolineata la responsabilità diretta degli arresti da parte dei fascisti. Di questi arresti su Siena c’è la testimonianza diretta di Alba Valech, fermata il 6 novembre e in seguito rilasciata per essere, in un secondo momento, deportata pure lei ad Auschwitz da dove, fortunatamente, riuscirà a tornare. Nel suo libro “A.24029”, la Valech certifica la presenza dei fascisti e di una ss italiana al momento dell’arresto della sua famiglia nella villa ‘il Branchino’ ai Cappuccini. Ed è ancora Alba Valech a raccontarci l’arrivo a Firenze dove, i tedeschi fanno salire gli ebrei senesi su alcuni vagoni carri bestiame che li avrebbero condotti a Bologna. Non c’è bisogno di immaginazione per pensare a quei momenti: è la penna della Valech che ci descrive il clima teso, tra paura e rassegnazione, che caratterizza quel trasferimento in treno, dove non mancano pianti e singhiozzi. A Bologna, le SS tedesche procedono agli interrogatori dei senesi. Alba Valech e il marito vengono rilasciati perché considerati misti. Per tutti gli altri arrestati a Siena, si riaprono i portelloni del treno n. 3, allestito dal capitano delle SS Dannecker il 9 novembre ’43, carico di famiglie catturate in Toscana e in Emilia. Da adesso in poi non ci sono più testimonianze dirette, perché di quei 15 ebrei fermati a Siena nessuno è sopravvissuto. Il convoglio percorre il tragitto che tanti altri treni avevano percorso nei mesi precedenti da tutta Europa. La destinazione è la Polonia. Ma chi viaggia dentro ai carri bestiame, tra pianti, fame, freddo e disperazione, non sa che quello è il suo ultimo viaggio prima della morte. Il viaggio dura 5 giorni. Il 14 novembre ’43, il treno arriva a destinazione: Auschwitz-Birkenau. Le persone vengono fatte scendere e messe in fila. Per i senesi non ci sarà scampo. Dopo la selezione, saranno subito indirizzati verso la morte. Percorrono, forse intuendo il loro destino, il tragitto tra i binari e le camere a gas (di cui oggi rimangono solo delle macerie). Come era accaduto negli anni e nei mesi precedenti al loro arrivo, in tante altre drammatiche occasioni, i bagagli dei deportati vengono sequestrati e i loro oggetti di vita quotidiana – dai giocattoli agli occhiali, dai gioielli alle foto – si mescolano a tutti gli altri beni razziati a tanti innocenti. I 15 ebrei catturati a Siena, dopo essersi spogliati, entrano nella camera a gas e poco dopo, per effetto del famigerato ‘Ziclon b’, escono cadaveri. I loro corpi vengono bruciati nei forni crematori di Auschwitz e le loro ceneri disperse nel vento e nelle campagne polacche.
Questa è la storia di bambini, adulti e anziani vissuti nella città del Palio: Adele Ajò anni 64; Gino Sadun anni 71;Ubaldo Belgrado anni 52; Ernesta Brandes anni 85; rabbino Giacomo Augusto Hasdà anni 74; Ermelinda Segre anni 68; Achille Millul anni 40; Gina Sadun anni 47; Marcella Nissim anni 20; Graziella Nissim anni 14; Livia Forti anni 55; Davide Valech anni 64; Michele Valech anni 68; Morosina Valech anni 21; Ferruccio Valech anni 13. Nelle settimane successive arriveranno ad Auschwitz altri senesi, che si erano nascosti a Firenze: si tratta della famiglia Sadun: Vittorio Emanuele e la moglie Matilde con i figli Amiel e Lya, anche per loro – come per i nonni Gino e Adele di cui abbiamo già parlato – non ci sarà scampo. Moriranno nel lager nazista anche i coniugi Ajò: Angelo e Fanny, per mesi domiciliati ad Asciano e poi deportati nel maggio ’44 dopo l’internamento nel campo di Bagno a Ripoli. Alba Valech, invece, sarà arrestata una seconda volta essendosi esposta nel tentativo di raccogliere informazioni sulla sorte dei familiari. Dopo un periodo di detenzione a Fossoli nell’agosto 44 arriverà ad Auschwitz. Nel suo libro racconta la quotidianità nel lager: le selezioni prima della gassazione, l’epidemia di febbre e dissenteria che la colpisce, la fame, il buio della camerata che la opprime durante la notte. A pagina 82, la Valech scrive: “Guardai il numero tatuato sul mio braccio: A 24029.Non mi sentivo più un essere umano”. Con l’avvicinarsi dell’armata rossa Alba Valech viene trasferita in Germania. È proprio al campo di Dachau, dopo 5 giorni di marcia della morte, che troverà la libertà il primo maggio ‘45 grazie all’arrivo degli americani.