Accordi a livello locale e regionale col beneplacito di Roma
SIENA. ”La mia nomina, come quella dell’avvocato Giuseppe Mussari alla guida della banca, fu decisa dai maggiori enti della politica locale e regionale e condivisa dai vertici della politica nazionale”, ha dichiarato il presidente della Fondazione Mps, Gabriello Mancini, interrogato il 24 luglio 2012 dai pm titolari dell’inchiesta sulla banca. Le nomine nel cda della banca erano decise dai partiti politici, con il consenso del Pdl. E, a proposito della sua nomina alla presidenza della Fondazione nel maggio 2006, Mancini riferisce che il suo sponsor principale, Alberto Monaci (nel 2006 Margherita ora Pd), attuale presidente del Consiglio regionale della Toscana, gli riferì “che era stato trovato un accordo con i Ds”.
L’ok alla nomina di Andrea Pisaneschi in quota Pdl nel Cda di Mps e di Carlo Querci come “espressione dei soci privati”, arrivò dopo che Gianni Letta telefonò a Silvio Berlusconi e poi richiamò Mancini dicendogli che “il presidente aveva dato il suo assenso”, ha spiegato Mancini ai pm, precisando che Pisaneschi “era persona vicina all’onorevole Gianni Letta”. Così, per “il rinnovo del Cda telefonai all’onorevole Letta e chiesi appuntamento con lui a Palazzo Chigi”. Nel corso dell’incontro, “chiesi indicazioni all’onorevole Letta circa la nomina del componente del Cda in quota Pdl ed egli mi disse che andava certamente bene la conferma di Pisaneschi, ma che avrebbe dovuto parlarne con il presidente Berlusconi per la definitiva conferma”. Stessa cosa per Querci. Per Querci Mancini afferma di aver parlato anche con Francesco Gaetano Caltagirone, “che raccoglieva il consenso dei privati”, al quale disse “che la proposta proveniva dall’onorevole Letta anche con il consenso del presidente Berlusconi. Dopo alcuni giorni Caltagirone mi confermò l’indicazione di Querci come componente dei privati nel cda della banca”.
Inoltre la Fondazione Mps ”ha avuto in Ceccuzzi”, allora componente della Commissione Finanze della Camera, ”un interlocutore privilegiato”. Mancini racconta come l’ex-sindaco di Siena, allora deputato dei Ds, tra il 2006 e il 2007, quando era in discussione una modifica sul voto delle Fondazioni nelle assemblee dei soci delle banche, (con un limite al 30%), ”si batté per il suo ritiro”. ”L’emendamento danneggiava la nostra Fondazione – aggiunge Mancini -, oltre alle Fondazioni Carige e CariFirenze. All’epoca il presidente della Commissione finanze era l’onorevole Paolo De Mese, che, per quanto mi consta, era in ottimi rapporti con Ceccuzzi”.
L’ex-presidente della Fondazione ha sottolineato anche che le richieste di finanziamenti dei progetti da parte della Fondazione arrivavano continuamente sollecitazioni politiche in ordine alla concessione degli stessi. Non ricordo richieste esplicite di Ceccuzzi. Siffatte richieste potevano eventualmente, pervenire dagli uomini di riferimento di Ceccuzzi che indico’ in Bonechi Luca, gia’ vicepresidente della Fondazione, e Alessandro Piazzi, attuale componente della Deputazione amministratrice