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E ieri pomeriggio (15 febbraio), su questo tema, di così grande attualità e pericolo, si è incontrato con il pubblico senese per la rassegna Lunedìlibri, realizzata in collaborazione con il Centro Gabrio Avanzati.
E’ un lavoro critico, il suo, affrontato con metodo e rigore scientifico (è docente di Sociologia all’Università di Torino), per far conoscere e valutare lo stretto legame tra potere e profitti di questo ‘male sociale’ per troppo tempo considerato una stretta conseguenza di una ‘cultura’ tutta meridionale.
L’autore, sollecitato dalle domande dell’assessore alla cultura, ha evidenziato, in modo chiaro, come da questo fenomeno criminoso sia facile risalire alle caratteristiche peculiari e differenziate che creano e individuano i rapporti tra gli appartenenti all'organizzazione criminale e le loro relazioni con l'esterno: politica, istituzioni e società civile.
Attraverso le dinamiche che si attivano tra mafiosi e imprenditori, l'autore cerca di tracciare una distinzione, non sempre netta e riconoscibile, che porta, comunque, all'individuazione di tre tipologie: imprenditori subordinati, collusi e mafiosi, in rapporto al “modo in cui gli imprenditori si avvalgono dell'offerta di fiducia, ossia del tipo di protezione mafiosa dalla quale la loro attività economica è fatta oggetto”.
Nell’edizione riveduta e ampliata di Mafie vecchie mafie nuove vengono dettagliatamente prese in esame tre realtà – la Piana di Gioia Tauro, la Puglia e il Piemonte – dove, grazie alla forza del ‘capitale sociale’ (le persone), in mano alla mafia, questa raggiunge e mantiene il controllo diretto del territorio.
Come più volte ha ripetuto Sciarrone lo studio e la comprensione della fitta rete di relazioni costruita dalla mafia, alla base del suo consenso radicato nella popolazione, si può giungere a comprendere, anche, il controllo politico ed economico che riesce a mettere in atto. Ed è proprio da questa presa di coscienza, da questa consapevolezza che si possono innescare strategie atte al suo sradicamento con efficaci azioni di contrasto.
“Non c’è mai stata una mafia buona, come, invece, la sua ideologia la vuole rappresentare" ha detto Sciarrone. La mafia è sempre la stessa. “La sua grande capacità è quella a sapersi adattare ai tempi, anticipando i processi di innovazione e, per questi, cambiare i modelli organizzativi, mantenendo, al contempo, elementi di tradizione”. “Siamo ancora lontani per arrivare ad una sua sconfitta”. Ma i risultati raggiunti dalla lotta alla criminalità organizzata, specialmente in Sicilia, situazione ben diversa dalla Calabria, e la sensibilità acquisita specialmente dai giovani, sono, indubbiamente, un segnale forte.
Ma la paura continua a generare consenso. Davanti alla violenza è difficile reagire. Fuggire è il desiderio di molti imprenditori, magari in Toscana o in Emilia Romagna, dove esiste una qualità della vita; pochi, però, riescono a farlo.
La collusione impera. Domina. Col controllo del territorio, adesso, e in molte zone, siamo arrivati al controllo delle persone, quel capitale sociale che rappresenta la forza delle mafie.
“Il pericolo, per Sciarrone, in un momento di grande crisi economica come l’attuale, è l’eccesso di liquidità in mano a questi poteri che possono destinarlo alla creazione di società a compartecipazione mafiosa”.
Lo studioso ha affermato di diffidare di “certe visioni di unanimismo nella lotta alla mafia”. Si riferisce alle forze politiche e alla stessa Commissione parlamentare antimafia, sulla quale si chiede quale mandato dovrebbe svolgere.
In sintesi: l’unanimità senza una progettualità non ha senso. Meglio un’accesa dialettica come quella esistente all’interno della Magistratura.
L’importante, adesso, è concretizzare azioni precise, come l’attesa Legge Quadro sulla mafia. L’importante, adesso, visto che finalmente da circa un ventennio anche in Italia studiamo il fenomeno mafia, che siamo a riusciti a capirne i meccanismi e i risvolti sociali, politici, economici e, soprattutto, di vite umane, iniziare a mettere in campo iniziative che riescano a combatterlo.