di Raffaella Zelia Ruscitto
SIENA. Se ne parlava, ormai, da qualche anno. La discussione, in origine, veniva affrontata solo dagli “addetti ai lavori”. Da quei giornalisti riuniti nelle redazioni, tra un caffè e un panino mangiato al volo.
Poi la cosa si è estesa come una cancrena nell'organismo già provato di un'Italia allo sbando.
Da quella vignetta “querelata” da D'Alema, il giornalismo italiano – e persino la satira in tutte le sue forme – ha cominciato a respirare affannosamente, a perdere mordente, a cercare modi sempre più fantasiosi per “non dire”, continuando ad esistere.
Secondo i dati di Reporter sans Frontières, pubblicati quest'anno dopo un monitoraggio su 173 paesi, l’Italia continua a scendere paurosamente meritandosi un triste 44.mo posto. Ancora peggio, se possibile, per Freedom House. Anche per l'associazione indipendente, con sede negli Stati Uniti, l’Italia peggiora la sua situazione al pari di Israele, Taiwan e Hong Kong. Su un punteggio che va da 0 (i Paesi più liberi) a 100 (i meno liberi), l’Italia ottiene 32 voti: unico Paese occidentale con una pagella così bassa.
Questo il quadro che emerge dall'osservazione di chi in Italia non ci vive e, per questo, non può essere accusato di parteggiare per questo o quel partito politico.
La “responsabilità” di una informazione allo sbando viene attribuita, in gran parte all'anomalia tutta italiana di un presidente del Consiglio dal potere esteso ai mezzi di informazione e comunicazione.
Un fatto che non si può certo trascurare. Soprattutto quando aggiunto ad un atteggiamento poco rispettoso – nei fatti e nelle parole – del più elementare confronto, del legittimo dissenso. Atteggiamento che si è esteso a tutta la cerchia di ministri e sottosegretari di Governo.
Limitare, però, la crisi dell'informazione italiana a questo aspetto credo sia offensivo per l'opionione pubblica, stanca di dover sentire sempre da chicchessia, una giustificazione per scaricare le responsabilità di un lavoro – del proprio dovere – “non svolto”.
Nel delirio della politica – da destra a sinistra – i giornalisti hanno un loro ruolo ed una loro responsabilità e, a volte, diventano addirittura più deliranti dello stesso “re”. Affossando il difficile ruolo di “controllo” e di “informazione” che dovrebbe essere alla base del mestiere di giornalista.
Ed ecco il “delirium” di Vittorio Feltri, ultimo – ma non unico – assassino di un giornalismo ormai da più parti pugnalato.
Se prima di lui l'attacco – a fini politici e non informativi – veniva riservato agli uomini di potere, dopo di lui si è capito che anche i “colleghi” non sono più immuni da scorrettezze, bassezze e minacce. Gli attacchi a Santoro, Gabanelli, Floris erano ormai passati in cavalleria come plausibili critiche – anche pesanti – a giornalisti troppo “beceri”, poco propensi ad una informazione equidistante. Alla faccia di tutti i Fede, Belpietro, Vespa e compagnia cantante.
Attaccare dalle pagine di un giornale un direttore cattolico, super partes, che aveva come unica “colpa” aver timidamente criticato il premier per i suoi comportamenti poco attinenti alla morale cattolica, ha scatenato la bufera. Dossier riemergono dalle stanze del Giornale e fanno sorgere il dubbio sempre più fondato che, come si diceva da tempo, siano conservati fascicoli “compromettenti” per ogni personaggio pubblico; che sia presidente della Camera o giornalista.
A questo punto, chi si sente libero di dire la sua? Ognuno di noi ha qualcosa che non vorrebbe fosse pubblicato su un giornale: dalla multa non pagata al ritiro della patente per una “serata brava”….
Allora tutti zitti! Salvo che non siate daccordo con chi comanda. Pena una gragnuola di critiche, attacchi e fango, da cui non tutti riescono a risollevarsi.
Grazie Feltri, per aver ucciso il giornalismo, evitando quella triste, dolorosa agonia che, ormai da anni, si stava consumando.
Sabato (3 ottobre) i giornalisti scendono in piazza a Roma per difendere la loro libertà di informazione. Per spezzare le catene di un potere politico che non è più controllato ma controllore. che non tollera domande e che non gradisce interferenze, pena querela sempre pronta nel cassetto. Che non sa confrontarsi e che preferisce “concordare le domande prima di andare in onda”. Che preferisce “penne genuflesse” piuttosto che ben dritte nel pugno.
Accanto ai giornalisti si sono mossi alcuni partiti politici di sinistra. Purtroppo.
A riprova che, i partiti proprio non riescono a stare fuori da un settore che non gli appartiene e non gli compete. Eppure dovrebbe essere ben chiaro a questo triste punto: il vero cancro del giornalismo è proprio questa commistione (troppo spesso azzerbinata) sempre contronatura che i giornalisti continuano a coltivare con la politica.
Forse che, dove regna sovrana una maggioranza di sinistra, in realtà locali e circoscritte, non vige un dictat che arriva dai potenti della zona? E quale lettore potrebbe mai credere che questo non avviene regolarmente? Basta saper leggere un giornale tra le righe (e neppure tanto); vedere chi si siede alla destra – e anche alla sinistra – del politico di turno. Chi viene invitato a moderare incontri pubblici (con quelle che, più che domande appaiono quasi sempre complimenti con il punto interrogativo) o prende premi a carrettate.
Alla manifestazione di Roma, che parte con questo “piede politico” il “CittadinoOnline” aderisce “con riserva”, appoggiando tutti i colleghi che, pensandola in tutti i modi possibili (anche diversamente da noi), vivono sulla loro pelle la difficoltà di svolgere al meglio il loro lavoro. Con tutti coloro che sanno bene quanta e quale sia la mancanza di “libertà di stampa” e quanto vere siano le classifiche fatte da associazioni estere. Ma distanziandosi da ogni forma di attribuzione politica di un diritto sacrosanto: quello di informare e di essere informati.
Senza sigla di parte.