di Michele Longo
SIENA. “La ricerca non può essere solo privata, noi diamo qualcosa in più, ma il settore pubblico deve essere l’asse portante.” Il direttore generale della Fondazione Monte dei Paschi, Marco Parlangeli, ha le idee chiare su quale debba essere il futuro della ricerca italiana e toscana e spiega come il privato può aiutare la ricerca, ma non può e non deve sostituire i finanziamenti pubblici.
Il titolo del convegno di oggi è “Il futuro della ricerca biomedica in Italia”. Lei come lo vede questo futuro?
“E’ una risposta difficile. In Toscana il futuro potrebbe sicuramente più roseo rispetto al resto dell’Italia. Noi stiamo dando un contributo importante alla ricerca in modo tale che questo sia parallelo allo sviluppo del territorio. Abbiamo avuto grosse soddisfazioni e per questo continuiamo ad andare avanti. Siamo fermamente convinti che il lavoro congiunto tra Università, industria e parco scientifico possa portare grossi benefici al nostro territorio. In Italia purtroppo la situazione non è delle migliori, ma in Toscana ci sono tutte le condizioni per un futuro roseo.”
Ultimamente si sta parlando molto della trasformazione degli Atenei in fondazioni private. Lei crede che la ricerca in Italia possa risollevarsi solo con un intervento dei privati?
“La ricerca non può essere solo privata, così come l’università. Chiaramente il settore privato ha un suo interesse perché la ricerca porta reddito e benefici per il territorio, ma io credo che la ricerca universitaria debba essere finanziata con denaro pubblico. Il privato può dare semplicemente un aiuto in più”
Il 60% dei dipendenti della struttura proviene da università toscane, avete un canale privilegiato con questi atenei?
“No, noi facciamo una selezione della candidature in maniera asettica. C’è però da dire che il polo di biotecnologie di Siena è tra i migliori d’Italia quindi è normale che molti ricercatori vengano da lì. Inoltre con l’Università di Siena abbiamo un canale privilegiato. Loro sanno di cosa abbiamo bisogno e il profilo dei dipendenti che cerchiamo.”
Con questo importante centro di ricerca volete provare a fermare l’ormai famosa “fuga di cervelli”?
“Certamente, anche se noi ci stiamo specializzando nel “rientro dei cervelli”. Infatti molti dei nostri dipendenti lavoravano o studiavano all’estero e noi siamo riusciti a farli tornare in Italia grazie ai nostri progetti di ricerca.”
Per concludere, siete soddisfatti dei risultati ottenuti in così pochi anni di attività?
“Siamo più che soddisfatti. Bisogna tenere conto che la Biotech è nata nel 2000, ma fino al 2002 non ha avuto lavoratori. Solo dal 2004 è cominciata l’attività di ricerca su patologie molto complicate come il morbo di Alzheimer, tumori cerebrali e altre malattie rare. Abbiamo pronti 13 prodotti di cui 2 in fase due, ovvero quasi completi. Inoltre, grazie al continuo rinnovamento della ricerca, siamo ormai in grado di sostituire prodotti che ormai non sono più efficaci.”
Clicca qui per leggera la sintesi del convegno
SIENA. “La ricerca non può essere solo privata, noi diamo qualcosa in più, ma il settore pubblico deve essere l’asse portante.” Il direttore generale della Fondazione Monte dei Paschi, Marco Parlangeli, ha le idee chiare su quale debba essere il futuro della ricerca italiana e toscana e spiega come il privato può aiutare la ricerca, ma non può e non deve sostituire i finanziamenti pubblici.
Il titolo del convegno di oggi è “Il futuro della ricerca biomedica in Italia”. Lei come lo vede questo futuro?
“E’ una risposta difficile. In Toscana il futuro potrebbe sicuramente più roseo rispetto al resto dell’Italia. Noi stiamo dando un contributo importante alla ricerca in modo tale che questo sia parallelo allo sviluppo del territorio. Abbiamo avuto grosse soddisfazioni e per questo continuiamo ad andare avanti. Siamo fermamente convinti che il lavoro congiunto tra Università, industria e parco scientifico possa portare grossi benefici al nostro territorio. In Italia purtroppo la situazione non è delle migliori, ma in Toscana ci sono tutte le condizioni per un futuro roseo.”
Ultimamente si sta parlando molto della trasformazione degli Atenei in fondazioni private. Lei crede che la ricerca in Italia possa risollevarsi solo con un intervento dei privati?
“La ricerca non può essere solo privata, così come l’università. Chiaramente il settore privato ha un suo interesse perché la ricerca porta reddito e benefici per il territorio, ma io credo che la ricerca universitaria debba essere finanziata con denaro pubblico. Il privato può dare semplicemente un aiuto in più”
Il 60% dei dipendenti della struttura proviene da università toscane, avete un canale privilegiato con questi atenei?
“No, noi facciamo una selezione della candidature in maniera asettica. C’è però da dire che il polo di biotecnologie di Siena è tra i migliori d’Italia quindi è normale che molti ricercatori vengano da lì. Inoltre con l’Università di Siena abbiamo un canale privilegiato. Loro sanno di cosa abbiamo bisogno e il profilo dei dipendenti che cerchiamo.”
Con questo importante centro di ricerca volete provare a fermare l’ormai famosa “fuga di cervelli”?
“Certamente, anche se noi ci stiamo specializzando nel “rientro dei cervelli”. Infatti molti dei nostri dipendenti lavoravano o studiavano all’estero e noi siamo riusciti a farli tornare in Italia grazie ai nostri progetti di ricerca.”
Per concludere, siete soddisfatti dei risultati ottenuti in così pochi anni di attività?
“Siamo più che soddisfatti. Bisogna tenere conto che la Biotech è nata nel 2000, ma fino al 2002 non ha avuto lavoratori. Solo dal 2004 è cominciata l’attività di ricerca su patologie molto complicate come il morbo di Alzheimer, tumori cerebrali e altre malattie rare. Abbiamo pronti 13 prodotti di cui 2 in fase due, ovvero quasi completi. Inoltre, grazie al continuo rinnovamento della ricerca, siamo ormai in grado di sostituire prodotti che ormai non sono più efficaci.”
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