"Siena ricorda e racconta" nel 70° della deportazione degli ebrei
SIENA. E’ stato presentato questa mattina, presso la sede della “Stanza della Memoria” di Siena, il progetto “Pietre d’Inciampo”, inaugurato e presentato dal sindaco Bruno Valentini, da Vittorio Meoni presidente del comitato provinciale ANPI di Siena, dal rabbino della sinagoga di Siena Crescenzio Cappelli e da Adachiara Zevi, presidente dell’associazione “Arte in Memoria”, con il fine di non dimenticare il 70° anniversario della deportazione degli ebrei senesi.
La ricorrenza ha voluto soprattutto rendere omaggio a questa iniziativa “Pietre d’Inciampo”, definita univocamente come metafora di ricordo verso il terrore umano della Shoah, ma anche verso la crudele e tragica notte che tra il 5-6 novembre del 1944 ha visto molte famiglie di Siena, circa 17, essere condotte, per mano dei fascisti, prima nei distretti di polizia più vicini, successivamente alla stazione di Firenze ed infine dentro convogli diretti per Dachau, dove da lì non sono più tornati. Ancora oggi l’indifferenza o la reticenza delle persone sono un grave atto verso la dignità di quelle persone che lasciarono intere famiglie per andare a perdere la vita lontano da casa. Ed è anche per questo che la manifestazione di stamani è stata non solo un’occasione di ricordo ma anche un momento di riflessione e di critica verso il negazionismo o la reticenza che continua ancora a vivere nella società attuale. E’ necessario non seppellire il ricordo del dolore di quelle persone in modo tale da “illuminare” le tenebre di quel periodo.
In sostanza il progetto propone, mediante l’aiuto dell’amministrazione comunale, di ubicare nel suolo pubblico, ad altezza della strada e davanti all’abitazione della famiglia del deportato ebreo senese, un san pietrino ( i san pietrini sono costruiti in Germania da un’artista tedesco, il quale ha già fornito molte pietre al comune di Roma il quale è già diversi anni che ha attuato questo progetto) con inciso il nome, il cognome e la data di nascita del deportato. Laddove la famiglia o i parenti più lontani del deportato siano già scomparsi, il comune si propone di farsi carico della spesa del san pietrino (circa 120 euro), in maniera tale – come ha precisato il sindaco Bruno Valentini: “che la gente possa inciamparci così da soffermarsi a ricordare, perché la pietra deve essere considerata come un cannocchiale che guarda al passato, come uno strumento ottico che serva ad esempio e da insegnamento alle nuove e future generazioni, le quali possano, nel corso degli anni successivi, continuare a tramandare questa atroce ingiustizia che ha sconvolto, e continua a sconvolgere, l’intera umanità”.
“A Siena, come nelle altre città – sostiene Sara Cividalli – la gente ha visto, ma non guardato”. I senesi rastrellati furono 17, due rilasciati a Bologna, gli altri mai tornati, perché mandati subito nelle camere a gas. Ma alcune “luci”, nella nostra città, ci furono: giusti tra le nazioni, come Monsignor Rosadini (parroco a Vignano) o le famiglie Adami Cardini, Borgogni e Neri. “Per noi è doveroso ricordare. Ricordare per chi non c’è più. Per chi è sopravvissuto. Ricordare per le giovani generazioni, affinché quella pagina di storia non si ripeta, e perché nessuno guardi più con indifferenza quello che sta accadendo, anche oggi, nel mondo”. Sulla stessa lunghezza d’onda l’intervento del rabbino della Sinagoga di Siena Crescenzio Piattelli “perché una simile tragedia non si deve ripetere in nessun tempo e in nessun luogo”.
“Siena è diventata una ulteriore tappa – ha detto Adachiara Zevi – di questa mappa della memoria. Un progetto di cui l’artista Demnig non vedrà mai la fine. Le pietre, poste su richiesta dei familiari, rappresentano un memoriale, un monumento, che, al contempo, è anti-monumento per eccellenza, perché piccolo, perché posto in basso, ma in grado di traslare da memoria privata a memoria pubblica. I sampietrini personalizzano la storia, diventando un monumento diffuso”.