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Direttore responsabile Raffaella Zelia Ruscitto
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Gli dei sono intoccabili

Fatti, fattacci e fatterelli che dovevano mettere sul "chi va là"

di Marco Sbarra

SIENA. Il Suo articolo “La caduta degli Dei di Siena…” è assai interessante, caro De Mossi, perché affronta da una angolatura particolare il problema Monte, mettendo in risalto un ulteriore aspetto di quell’incredibile caravanserraglio delinquenziale che ha distrutto un mondo per tanto tempo florido e autorevole. Ma per rispondere alle Sue domande credo che non si possa fare a meno, purtroppo, di rientrare nel campo della politica, visto che la Fondazione è un’emanazione del partito dominante di Siena e rimane ancora oggi socio pro tempore di maggioranza e quindi detentrice del potere di indirizzo e di controllo della Banca.

“Un imprenditore qualunque”, si domanda, si sarebbe comportato così, un “normale imprenditore” si sarebbe limitato a prendere ordini da chi invece li avrebbe dovuti ricevere? Sicuramente no, ma io credo che un uomo d’affari che si fosse trovato nei panni della Fondazione forse avrebbe dovuto frequentare ambienti poco piacevoli come sono quelli di una Procura (e a poco sarebbero serviti i piagnistei del tipo “siamo stati fregati da lestofanti”), così come qualche problemino con la giustizia l’avrebbe incontrato anche il partito che, costituendo il suo vertice apicale, non poteva non essere il dominus della strategia e della scelta degli esecutori delle operazioni da lui decise.

Il problema del Monte è sempre stata l’abnorme commistione Partito/Banca, il vero scandalo sono state le porte girevoli che dal Monte portavano direttamente al vertice del Comune e viceversa. E’ stata proprio questa confusione di ruoli, per cui i controllori e i controllati si confondevano, la causa che ha portato alla disgregazione del Monte.

Domanda: come mai nessuno è mai intervenuto per risolvere una stortura tanto clamorosa quanto di tutta evidenza, a partire dai vari Ministri del Tesoro succedutisi nel tempo e dalla Banca d’Italia per finire alla Magistratura? E qui il percorso si fa accidentato, ma credo che vada affrontato per amore di verità.

Si è già detto dell’anomalia rappresentata dagli affari Bam e Banca 121. Ora vorrei soffermarmi su una vicenda apparentemente minore, ma che spiega bene l’intreccio perverso di cui ho parlato più sopra.

Scriveva Fausto Carioti su Libero del 28 ottobre 2003 in un ampio articolo dal titolo:Rosso Ds: un Monte di debiti. E la banca non chiede il conto”.

“Il futuro dei Ds è al sicuro. Messo in banca. Nel vero senso dell’espressione. La banca in questione, manco a dirlo, è il Monte dei Paschi di Siena, da oltre mezzo secolo, tra tutti gli istituti di credito, quello con il cuore e il portafoglio più vicini al partito comunista prima, a quello post-comunista poi”.

In breve: i Ds, che nel 2001 hanno un rosso di 580milioni (dal Corriere della Sera del 4.7.2005), decidono di risanare le loro casse tramite la società Beta Immobiliare, nella quale sono confluiti gli immobili del partito e individuano nel Monte il perno dell’operazione.

Carioti racconta che la Banca concede all’immobiliare diessina ben quattro mutui di notevole importo: e fin qui nulla da obiettare. Ma poi scopre che il mutuatario è moroso in tutti e quattro i finanziamenti, per un totale di 4.296.438,00 euro, con ben 27 rate arretrate, pur conservando l’amministrazione della propria posizione in ordinario.

Mercoledì 29 ottobre 2003 il Cittadino Oggi di Siena riporta la notizia lanciata da Libero il giorno prima, in un fondo non firmato. Lo stesso giorno l’esecutivo provinciale dei Ds di Siena preannuncia una querela contro il foglio locale (è forse una prassi per quel partito, onorevole Sposetti?). Indovinate che era l’allora segretario provinciale: Ceccuzzi Franco, ci dice il direttore Francesco Fondelli, colui che diventerà Sindaco di Siena, l’inflessibile rottamatore della vecchia politica, il sublime cantore della discontinuità nel Monte.

Il direttore del quotidiano senese va a documentarsi e scopre che la Beta Immobiliare Srl ha avuto come consigliere dal 1995 al 2002 un certo Ceccuzzi Franco e sobbalza sulla sedia.

Certo che se si trattasse del Ceccuzzi segretario della Quercia sarebbe un bel pasticcio: ragiona il Direttore che “se davvero fosse così, il partito della Quercia senese avrebbe conferito le passività ad una società che sarebbe stata amministrata anche dall’attuale segretario della Quercia senese. A sua volta la società già amministrata dal segretario della Quercia senese si sarebbe indebitata con il Monte dei Paschi, ai vertici del quale siedono autorevoli esponenti della Quercia senese”. Così funzionava il Sistema Monte.

Non ho mai saputo di inchieste giudiziarie avviate ad esempio per il caso dell’acquisto a prezzi spropositati della Banca del Salento, all’epoca ribattezzato come uno dei più grandi abbagli finanziari, poi sparita dalla circolazione. Che la cosa mostrasse lati oscuri era solare, ma nessuno volle mai metterci il naso dentro.

L’inchiesta di Antonveneta poi è partita col botto, ma a me sembra, con tutto il dovuto rispetto, che si sia dispersa in mille rivoli, importanti senz’altro, ma che forse, fino a prova contraria, hanno distolto l’attenzione dal vero bersaglio grosso della caccia, rappresentato dall’inverosimile e inspiegabile discrasia fra il prezzo d’acquisto e il valore effettivo di Antonveneta.. 

Forse i referenti politici e non del Monte, che assai improbabilmente potevano non conoscere la genesi dell’affare, qualcosa avrebbero da raccontarci.

Prendiamo in esame un’altra vicenda paradigmatica: da un’inchiesta del Giornale del 29/30 marzo 2013 apprendiamo che la Banca Popolare di Spoleto, al termine di un lungo contenzioso con Bankitalia è stata dalla medesima commissariata per una serie di presunte irregolarità. Ora io non sono in grado di valutare se effettivamente, come adombra il quotidiano, l’intervento di Bankitalia sia stato fatto per favorire, con l’aiuto del Monte dei Paschi, l’acquisizione del controllo della Popolare da parte di una cordata guidata dalle Cooperative rosse: quello che a me preme rilevare è che la nostra Banca Centrale, di fronte alle enormi irregolarità compiute dal Monte Paschi in seguito all’affaire Antonveneta, non solo non ha provveduto a commissariarlo, ma mi sembra si sia ben guardata dall’intervenire con la dovuta efficacia.

A fronte di ciò non posso non osservare che, invece, i controlli e i provvedimenti nei confronti della piccola Banca, che faceva capo ad una fondazione non controllata da soci di riferimento della sinistra, sono stati più che puntuali e alquanto dirimenti.

Di più, se poi risultasse vero come afferma il Giornale, che le violazioni accertate della Popolare di Spoleto fossero delle vere e proprie pagliuzze in confronto alle pesantissime travi del Monte beh, sarebbe difficile non pensar male.

Caro Dottor Visco, Lei ha affermato che la Banca d’Italia per poter intervenire efficacemente nei casi in cui, sulla base di fondate evidenze, ritenga necessario opporsi alla nomina di esponenti aziendali o rimuoverli dall’incarico”, occorre che “il quadro normativo sia rafforzato”. Mi scusi, ma io non credo proprio che ciò sia necessario, come dimostra l’esempio testé riportato, bastando alla bisogna il Testo Unico Bancario in vigore che mette a disposizione amplissimi poteri di intervento.

La verità è che non servono affatto nuove leggi per l’Organo di controllo che Lei ha l’onore di presiedere: è indispensabile invece avere il coraggio di avvalersi di quelle esistenti con correttezza e indipendenza, volgendo il proprio sguardo a destra e a manca, senza lasciarsi condizionare dalle pressioni di chicchessia.

Governatore, in coscienza può affermare che la Banca d’Italia non ha niente da farsi perdonare nella vicenda Monte?

Forse meglio di Lei potrebbe rispondere il Suo illustre predecessore dottor Draghi che, secondo il Fatto Quotidiano del 29 gennaio 2013 avrebbe un tantinello“sottovalutato” la situazione del Monte, senz’altro per il lodevole intento di assecondare la Banca nel suo disegno strategico di crescita.

Certamente poi il fatto che il Monte fosse nelle cure e nelle grazie di un certo partito sicuramente non avrà costituito un ostacolo insormontabile…

Nella nostra bella Italietta vige una regola non scritta: se stai dalla parte politica giusta ti puoi permettere di tutto, se stai da quella sbagliata sono cavoli amari.

Sono mille e uno gli altri esempi che potrei citare, ma qui mi limito a constatare che imperando l’egemonia della sinistra, da noi vige il principio della doppia morale che funziona a intermittenza, per cui un atto è buono e giusto se compiuto da un rappresentante dell’intellighenzia progressista, mentre diviene obbrobrioso se lo stesso è opera di un pirla che si ostina a non voler vivere in quell’accampamento.

Come è bello e consolante ritenersi ex lege antropologicamente superiori per intelligenza, etica ed estetica in quanto appartenenti alla classe eletta: si può fare tutto e il contrario di tutto, ma si sarà sempre nel giusto e guai a te, rozzo rappresentante di una cerchia ignorante e sprovveduta, che ti permetti di criticare e di sostenere che la verità e la morale non sono relative.

Se ti va bene ti beccherai una sonora reprimenda da tutto il coro unanime progressista, capitanato dai giornali d’area che hanno la verità di scorta, seguita da diffamazioni e calunnie varie e se hai la faccia tosta di insistere chissà che tu non riceva un gentile invito da parte di qualche Procuratore della Repubblica Etica che brama fare la tua conoscenza e spiegarti come va il mondo.

Io ho il vago sospetto che l’Italia non sia una Repubblica fondata sul lavoro, ma sull’Ipocrisia e sul Doppio Binario, che però non ha nulla a che vedere con la TAV.

Caro De Mossi, i Senesi che credevano di essere dei sono caduti, è vero, ma gli Dei sono rimasti, splendidi e intoccabili, a ricordarci che sudditi eravamo e sudditi rimarremo.

A meno che…

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