SIENA. Alessandro Vigni di Sinistra Democratica ha una sua visione ampia della crisi del camper e di come si possa risolvere. Di seguito le sue riflessioni sul tema.
Per la crisi del comparto del camper forse non bastano le proposte poco originali che sono circolate in questi mesi. E' ovvio che le banche debbono allentare la corda per aiutare le aziende a superare il momento di difficoltà, e tutti concordano.
Ma se la crisi dovesse durare a lungo? Se i clienti – costretti a ridurre le spese per tirare avanti la famiglia – dovessero sempre più ritenere il camper un bene di lusso a cui rinunciare?
C'è un deficit di prospettiva strategica che va colmato.
Intanto va considerato che l'industria del camper non è altro che un segmento della più grande industria turistica. Se il modello di società che si afferma toglie tempo libero e risorse ai cittadini, il mercato turistico è destinato a contrarsi.
Occorre invece che si valorizzi e cresca quella importante componente della qualità della vita che è costituita dalla disponibilità di tempo e di risorse per viaggiare, conoscere, entrare in contatto con realtà nuove e diverse. Se si va in cassa integrazione, se la condizione della precarietà diventa generalizzata, se gli stipendi sono bassi, sempre meno cittadini potranno acquistare ed usare il veicolo ricreazionale o fare turismo in qualsiasi altro modo.
Va bene, quindi, pensare al prodotto, – magari proponendo versioni anche più spartane e meno costose – ma occorre pensare anche alle condizioni generali del mercato a cui questo prodotto è offerto. Le politiche turistiche del Paese sono il tema a cui prestare la massima attenzione perchè senza un loro cambiamento non si va da nessuna parte.
E' in questo contesto che si colloca la specifica fetta di mercato costituita dal camper, ma anche dalle roulotte ed in generale dal turismo in plen air.
Purtroppo è ancora diffusa l'opinione che questo sia un turismo di seconda categoria, economicamente poco interessante, da guardare con sospetto o almeno con diffidenza. Qualcuno confonde ancora i camperisti con le carovane dei nomadi, ignora le norme comportamentali molto corrette seguite dalla stragrande maggioranza degli equipaggi, non conosce le soluzioni tecnologiche che sono state applicate per rendere assolutamente minimo l'impatto ambientale di questi mezzi.
Molte amministrazioni locali che riservano grande interesse alle strutture alberghiere di ogni genere, alle seconde case ed a quant'altro trasforma permanentemente il territorio (forse anche per poter incassare un po' di oneri di urbanizzazione), ignorano le potenzialità insite nella realizzazione di aree attrezzate specifiche per la sosta dei camper, quando addirittura non riempiono le strade e le piazze di cervellotici divieti di sosta, oltretutto illeciti perché non distinguono i veicoli in base al loro ingombro ma solo in relazione alla funzione a cui sono adibiti.
Molti dimenticano che dal punto di vista della salvaguardia e della tutela dell'ambiente il turista in plen air è molto più interessante di quello che utilizza strutture ricettive fisse: non ha bisogno di strutture realizzate con interventi edificatori e urbanizzazioni irreversibili; viene, sosta preferibilmente in aree attrezzate ma si adatta ad usare anche aree di sosta già esistenti ed utilizzate da tutti i tipi di veicoli, visita le città ed i luoghi di interesse, spende nei negozi come tutti gli altri turisti ed infine se ne va non lasciando traccia del suo passaggio.
In qualche modo questo tipo di turismo è alternativo al modello che è andato per la maggiore fino ad oggi. Il suo sviluppo sarà sempre maggiore se si comincerà a dire basta alle lottizzazioni di seconde case, alle finte residenze alberghiere, ai milioni di metri cubi di edificato che, se va bene, vengono utilizzati per due-tre mesi all'anno, alle discriminazioni che spingono il camperista a sostare in aree sempre più marginali e lontane dai luoghi di interesse.
Una politica di questo tipo è condizione indispensabile per la ripresa del settore. L'idea che basti aspettare la fine della crisi per ricominciare tutto come prima è inadeguata ed illusoria.
A partire dalle aziende ci si deve far promotori e sponsor, anche attraverso una forte azione di lobby, di uno spostamento dell'asse della politica turistica non solo a livello nazionale ma anche nelle singole realtà locali. Uno spostamento che può felicemente sposarsi con le istanze dell'ambientalismo e dello sviluppo sostenibile e risultare forte e vincente, con un dibattito su questi temi anche nelle sedi sindacali ed in quelle istituzionali.
Occorre passare dagli appelli generici alla promozione di strumenti anche normativi e tecnici coerenti. Insomma, ad esempio, quanti sono i comuni della Toscana – capitale italiana dell'industria del camper – che debbono ancora dotarsi di aree di sosta attrezzate per questi veicoli? Incoerenze di questo genere non devono più avere diritto di cittadinanza.
La prospettiva per per uscire dalla crisi che attanaglia il settore del camper consiste quindi nell'esaltare il valore fondamentale – intrinseco del prodotto – di coerenza con un disegno generale di sviluppo sostenibile della società.
In fin dei conti i primi camper nacquero perché si voleva rifuggire dalla scelta obbligata dell'albergo quale unica possibilità di alloggio per il turista. Rivista e aggiornata questa opzione deve continuare ad essere l'arma vincente: il camper non come status symbol, ma come mezzo essenziale per un turismo leggero, non invadente, libero ed anche alla portata di tutti.