"Un caso tipico di malasanità", dice il legale della famiglia
di Augusto Mattioli
SIENA. “Se l’ospedale avesse avuto un minimo di dignità, di responsabilità. Se mi avessero ascoltato Niccolò si sarebbe salvato”. I se di Thomas Muzzi, padre di Niccolò che a due anni morì al pronto soccorso delle Scotte il 13 settembre di due anni fa, sono ancora tutti dentro di lui. Una vicenda ancora aperta sia sul fronte della giustizia penale, sia di quella civile che questa mattina è stata ricordata in una conferenza stampa dallo stesso Thomas, presenti i suoi legali ed esponenti dell’associazione Noi Siena che in questi due difficili anno lo ha supportato e aiutato ad uscire dalla disperazione. Un evento che ha segnato lui e la sua famiglia per sempre. Una vita sconvolta. L’ incontro di stamani è un’iniziativa “contro i silenzi di questi due anni, contro lo scarso interesse su una vicenda da non ripetere. Voglio che quella di Niccolò non sia solo una pratica”, ha detto Muzzi. Magari da chiudere il fretta, senza troppo clamore.”Un esempio tipico di malasanità“, ha sottolineato l’avvocato Michelangelo Metta che ha annunciato che la prossima settimana sarà notificato, in sede civile, un atto di citazione nei confronti dei responsabili.
Il processo penale, per il quale sono indagati, dal sostituto procuratore Antonino Nastasi, due medici del pronto soccorso senese per il reato di omicidio colposo, vedrà il prossimo 21 novembre un’ udienza davanti al gup per il rinvio a giudizio. La preoccupazione di Muzzi emersa nel corso della conferenza stampa è che tutto cada nel silenzio o che si facciamo solo discorso generici. “Siamo stati inascoltati in questi due anni” ha sottolineato ricordando che c’è stata anche di recente un’interrogazione sul caso in consiglio comunale alla quale ha risposto l’assessore alla sanità del comune di Siena Anna Ferretti che non ha soddisfatto. Ma non sono stati pochi a sostenere la sua battaglia oltre all’associazione Noi. Come chi si è messo le mani in tasca per raccogliere fondi, come le 2135 persone che hanno sottoscritto un documento di appoggio, come i tanti che hanno telefonato a Muzzi chiedendogli consigli riguardo alcuni loro problemi relativi al rapporto con lil pronto soccorso, ma esprimendogli anche sincera solidarietà. Da questo evento drammatico sono venute fuori idee e proposte. Intanto la richiesta che al pronto soccorso senese sia sempre presente, 24 ore su 24 qualcuno esperto il patologie pediatriche. E la proposta di istituzione un call center dove poter raccogliere situazioni di disagio di chi si è rivolto al pronto soccorso e non ha avuto risposte adeguate e soddisfacenti. Quelle riposte che la famiglia Muzzi non ha avuto quando la mattina del 13 settembre del 2012 il piccolo Niccolò che era stato operato dieci mesi prima per un diverticolo, era stato portato al pronto soccorso perché appariva in preoccupanti condizioni. L’avvocato Metta, senza diplomatici giri di parole, ha parlato di un intervento approssimativo da parte dei medici anche il relazione al fatto che il bambino era stato già operato. “I sintomi che mostrava – ha puntualizzato – avrebbero dovuto mettere in allarme i medici”. Un allarme che non è stato colto.
SIENA. “Se l’ospedale avesse avuto un minimo di dignità, di responsabilità. Se mi avessero ascoltato Niccolò si sarebbe salvato”. I se di Thomas Muzzi, padre di Niccolò che a due anni morì al pronto soccorso delle Scotte il 13 settembre di due anni fa, sono ancora tutti dentro di lui. Una vicenda ancora aperta sia sul fronte della giustizia penale, sia di quella civile che questa mattina è stata ricordata in una conferenza stampa dallo stesso Thomas, presenti i suoi legali ed esponenti dell’associazione Noi Siena che in questi due difficili anno lo ha supportato e aiutato ad uscire dalla disperazione. Un evento che ha segnato lui e la sua famiglia per sempre. Una vita sconvolta. L’ incontro di stamani è un’iniziativa “contro i silenzi di questi due anni, contro lo scarso interesse su una vicenda da non ripetere. Voglio che quella di Niccolò non sia solo una pratica”, ha detto Muzzi. Magari da chiudere il fretta, senza troppo clamore.”Un esempio tipico di malasanità“, ha sottolineato l’avvocato Michelangelo Metta che ha annunciato che la prossima settimana sarà notificato, in sede civile, un atto di citazione nei confronti dei responsabili.
Il processo penale, per il quale sono indagati, dal sostituto procuratore Antonino Nastasi, due medici del pronto soccorso senese per il reato di omicidio colposo, vedrà il prossimo 21 novembre un’ udienza davanti al gup per il rinvio a giudizio. La preoccupazione di Muzzi emersa nel corso della conferenza stampa è che tutto cada nel silenzio o che si facciamo solo discorso generici. “Siamo stati inascoltati in questi due anni” ha sottolineato ricordando che c’è stata anche di recente un’interrogazione sul caso in consiglio comunale alla quale ha risposto l’assessore alla sanità del comune di Siena Anna Ferretti che non ha soddisfatto. Ma non sono stati pochi a sostenere la sua battaglia oltre all’associazione Noi. Come chi si è messo le mani in tasca per raccogliere fondi, come le 2135 persone che hanno sottoscritto un documento di appoggio, come i tanti che hanno telefonato a Muzzi chiedendogli consigli riguardo alcuni loro problemi relativi al rapporto con lil pronto soccorso, ma esprimendogli anche sincera solidarietà. Da questo evento drammatico sono venute fuori idee e proposte. Intanto la richiesta che al pronto soccorso senese sia sempre presente, 24 ore su 24 qualcuno esperto il patologie pediatriche. E la proposta di istituzione un call center dove poter raccogliere situazioni di disagio di chi si è rivolto al pronto soccorso e non ha avuto risposte adeguate e soddisfacenti. Quelle riposte che la famiglia Muzzi non ha avuto quando la mattina del 13 settembre del 2012 il piccolo Niccolò che era stato operato dieci mesi prima per un diverticolo, era stato portato al pronto soccorso perché appariva in preoccupanti condizioni. L’avvocato Metta, senza diplomatici giri di parole, ha parlato di un intervento approssimativo da parte dei medici anche il relazione al fatto che il bambino era stato già operato. “I sintomi che mostrava – ha puntualizzato – avrebbero dovuto mettere in allarme i medici”. Un allarme che non è stato colto.