SIENA. I ricercatori del policlinico delle Scotte, diretti da Antonio Federico, direttore dell’U.O.C. Neurologia e Malattie Neurometaboliche, hanno scoperto il meccanismo che sta alla base di una patologia neurologica ereditaria che causa la perdita bilaterale della vista.
“Si tratta – spiega il professor Federico – di uno studio sull’atrofia ottica autosomica dominante, che rappresenta la neuropatia ottica ereditaria più frequente. Questa malattia è determinata dall’alterazione di una proteina codificata da un particolare gene che porta a una degenerazione della vista, con la progressiva perdita bilaterale della visione”.
L’eccellente risultato è frutto anche di un progetto di ricerca in Sicilia, che vede i medici senesi impegnati da circa due anni. Con la collaborazione dell’Unione Italina Ciechi locale, infatti, sono stati osservati, dal punto di vista clinico e genetico-molecolare, 48 pazienti residenti nella zona di Siracusa, affetti da neuropatia ottica ereditaria.
“La scoperta – conclude il professor Federico – rappresenta un grande traguardo nello studio di queste patologie. Una maggiore conoscenza dei meccanismi di formazione della malattia apre la strada a nuove possibilità terapeutiche per intervenire nella riduzione dei processi degenerativi”.
“Si tratta – spiega il professor Federico – di uno studio sull’atrofia ottica autosomica dominante, che rappresenta la neuropatia ottica ereditaria più frequente. Questa malattia è determinata dall’alterazione di una proteina codificata da un particolare gene che porta a una degenerazione della vista, con la progressiva perdita bilaterale della visione”.
L’eccellente risultato è frutto anche di un progetto di ricerca in Sicilia, che vede i medici senesi impegnati da circa due anni. Con la collaborazione dell’Unione Italina Ciechi locale, infatti, sono stati osservati, dal punto di vista clinico e genetico-molecolare, 48 pazienti residenti nella zona di Siracusa, affetti da neuropatia ottica ereditaria.
“La scoperta – conclude il professor Federico – rappresenta un grande traguardo nello studio di queste patologie. Una maggiore conoscenza dei meccanismi di formazione della malattia apre la strada a nuove possibilità terapeutiche per intervenire nella riduzione dei processi degenerativi”.