Intelligenza artificiale, data science e genetica insieme: approcci innovativi alla base della ricerca senese che è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista "Human Genetics"
SIENA. La collaborazione fra scienziati di discipline diverse, dall’intelligenza artificiale alla data science e alla genetica, permette di approcciare lo studio sui rischi da Covid-19 in maniera innovativa.
Una nuova ricerca, cui hanno preso parte studiosi dell’Università di Siena delle diverse discipline, è stata pubblicata sull’ultimo numero della prestigiosa rivista internazionale “Human Genetics”.
“Common, low‑frequency, rare, and ultra‑rare coding variants contribute to COVID‑19 severity” è il titolo dello studio che tratta dell’innovativa modalità di approccio integrato per un modello interpretabile di apprendimento automatico che permette di capire quali sono i geni “difettosi” a causa dei quali alcune persone hanno COVID-19 grave.
Ed è proprio l’approccio integrato fra studiosi delle diverse discipline che consente di elaborare i dati genetici più velocemente e in maniera più precisa per individuare quali sono i livelli di rischio che possono portare a una maggiore gravità dell’infezione e poi alla malattia da Covid-19.
L’analisi del Dna, effettuata attraverso potente sequenziatore NOVASeq6000, con l’aiuto di data science e intelligenza artificiale permette di individuare chi ha più probabilità di contrarre la malattia in modo grave e quindi di fornire con maggiore tempestività e in maniera personalizzata la terapia farmacologica più adatta.
Del gruppo di ricerca interdisciplinare, guidato dalla professoressa Alessandra Renieri del dipartimento di Biotecnologie mediche e direttrice dell’unità Genetica Medica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Senese, fanno parte scienziati dell’ambito dell’intelligenza artificiale del dipartimento di Ingegneria dell’Informazione e Scienze Matematiche dell’Università di Siena come Marco Gori e Nicola Picchiotti del laboratorio SAILAB e Simone Furini esperto di data science del dipartimento di Biotecnologie mediche, oltre a molti medici dell’ospedale senese, dell’Azienda Usl Toscana sud est e di altri 40 ospedali italiani del consorzio GEN-COVID.
Allo studio hanno collaborato studiosi e medici di Germania, Inghilterra, Svezia e Canada, che si sono aggiunti a scienziati esperti di open data e open science nell’ambito della ricerca biomedica Italiana.
“Attraverso la genetica dell’ospite, cioè di ciascuno dì noi – commenta la professoressa Alessandra Renieri – si possono fare previsioni su quale sarà la gravità dell’infezione e quali sono i punti deboli per poi offrire nel prossimo futuro una terapia personalizzata. Cioè curare in maniera diversa pazienti diversi a seguito della tipizzazione della propria genetica e non tutti con lo stesso farmaco”.
Il modello di approccio proposto dalla ricerca potrebbe infatti fornire informazioni utili per lo sviluppo di strumenti diagnostici e terapeutici. Lo studio delle varianti dei nostri geni – comuni, a bassa frequenza o rare – individuate a partire dall’elaborazione dei dati di sequenziamento di individui positivi, sono state utilizzate per definire un modello interpretabile di apprendimento automatico per predire la gravità di Covid-19.
“Finalmente si comincia a parlare della genetica dell’ospite anche nei mezzi di diffusione non scientifica – continua Renieri -. La principale differenza di gravità di malattia infatti non è legata alle genetica delle varianti, ma alla genetica dell’ospite, cioè del paziente. Anche un nuovo lavoro scientifico di un consorzio americano pubblicato recentemente su Nature mette in evidenza la parte immunologica del contributo dell’ospite, che è di ampia natura, come dimostrato dallo studio internazionale a cui ha partecipato il consorzio GEN-COVID, nell’ambito dello Human Genetics Initiative”.
Lo studio “Common, low‑frequency, rare, and ultra‑rare coding variants contribute to COVID‑19 severity” su “Human Genetics”: doi.org/10.1007/s00439-021-02397-7
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Foto:
Il gruppo senese coordinato dalla professoressa Alessandra Renieri (al centro).
Da destra a sinistra, biotecnologi biologi e medici della Genetica Medica coinvolti nello studio e data scientists del gruppo del professor Simone Furini (a destra)