Un rimedio della nonna rivalutato

di Antonio Vona*
SIENA. “Gallina vecchia fa buon brodo”: è un detto che tutti conosciamo e che ogni tanto ritorna sulle nostre bocche in forma di semplice battuta, snaturato del suo significato originale. Ma quale era il senso di questa frase? Era da prendersi alla lettera, oppure era un proverbio per alludere ad altri fatti della vita? Rifacciamoci alla storia: quasi nove secoli fa, Maimonide, un medico egiziano, scriveva in un suo trattato sulla medicina preventiva, come si direbbe adesso, che ‘… il brodo di gallina vecchia giova alle febbri croniche e aiuta contro la tosse’. In effetti quelli erano secoli in cui, per curarsi, bisognava arrangiarsi con quello che c’era, e quindi era molto acuta la sensibilità dei medici, ma anche della gente comune, verso gli effetti terapeutici o dannosi e in generale verso gli influssi di ogni cosa che interagisse con l’organismo: gli alimenti, le bevande, le erbe, i sali, le pietre, le pozioni più o meno magiche, persino le stelle, che dall’alto stanno a guardare. Per la cronaca aggiungo che Maimonide non era affatto d’accordo con l’astrologia e ne criticò aspramente le pretese.
Tornando al nostro detto, per secoli il brodo di gallina curò le influenze (questo termine deriva proprio dall’idea medioevale che le epidemie di febbri croniche derivassero da ‘influenze’ malefiche delle stelle) e i problemi respiratori della gente, o almeno di quei ricchi che potevano permettersi una gallina, oltretutto vecchia: far invecchiare qualche gallina era diventata quindi una forma di prevenzione, e anche di investimento, per i periodi freddi. Nacque persino qua e là un certo traffico di pennuti, che raggiunse, all’arrivo dell’influenza, quotazioni quasi da borsa: un agnello o due litri e mezzo di olio d’oliva per una gallina vecchia. Intraprendenti cerusici, osti e curati fecero buoni affari con questo umile brodo, venduto al prezzo di un elisir.
Dobbiamo dunque ammettere che se la diffusione di tale rimedio è durata fino a poche decine di anni fa, e ancora persiste nei Paesi ad economia povera, questo brodo un merito deve pure averlo; in alcune zone dell’Europa l’esperienza aveva portato a preferire il brodo fatto, più che con la gallina intera, con la sola pelle, completa di penne, di zampe e di piume: i più acuti avevano notato che i suffumigi fatti con questo brodo prima di berlo molto caldo, decongestionavano con maggiore efficacia le vie nasali e i bronchi, e inoltre miglioravano lo stato delle infiammazioni.
Cercando le ragioni di tutto ciò con l’occhio del ventunesimo secolo ci troviamo ad osservare che i tessuti dei gallinacei sono particolarmente ricchi di un amminoacido, la cisteina, che viene tuttora utilizzato come mucolitico per gli stati infiammatori delle vie aeree, e che la quantità di cisteina aumenta man mano che i tessuti dell’animale invecchiano. Inoltre questa stessa sostanza limita la capacità dei globuli bianchi di liberare nei tessuti certi composti capaci di scatenare un’infiammazione. Per di più, la cisteina è ricca di zolfo, e dà una mano importante nei casi di artrosi: infatti è la base di molti dei farmaci che, al bisogno, consumiamo.
In più aggiungiamo che, negli anni in cui la moderna industria farmaceutica non era ancora così sviluppata, questo farmaco veniva ricavato facendo bollire proprio la pelle di pollo insieme alle sue piume.
Non c’è che dire, ancora una volta dobbiamo concludere, insieme ad Ippocrate, un altro grande medico del passato, che “il cibo è la tua medicina”.
* Biologo nutrizionista