Lo dice uno studio dell'Università di nDavis in California: la produzione della carne in laboratorio è più impattante dal punto di vista ambientale della zootecnia tradizionale
TOSCANA. La produzione della carne in laboratorio è più impattante dal punto di vista ambientale della zootecnia tradizionale. A dirlo non sono le aziende agricole o gli allevatori ma i risultati della ricerca realizzata da Derrick Risner ed i suoi colleghi dell’Università della California a Davis. Il potenziale di riscaldamento globale della carne sintetica (o meglio a base cellulare come suggerito dall’Oms), definito in equivalenti di anidride carbonica emessi per ogni chilogrammo prodotto è da 4 a 25 volte superiore a quello della carne bovina tradizionale. E’ quanto riferisce Coldiretti Toscana nell’evidenziare che lo studio è stato appena pubblicato sul sito www.biorxiv.org come contributo alla chiarezza in un campo d’indagine molto recente sul quale crescono le ombre.
“Dal mondo scientifico cominciano ad arrivare conferme sulla necessità di rispettare il principio di precauzione di fronte ad una nuova tecnologie con molte incognite che rischia di cambiare la vita delle persone e l’ambiente che ci circonda. – spiega Fabrizio Filippi, Presidente Coldiretti Toscana – Proprio per questo la sfida che la Coldiretti lancia alle istituzioni europee è che i prodotti in laboratorio nei processi di autorizzazione non vengano equiparati a cibo ma bensì a prodotti a carattere farmaceutico. La Toscana ha risposto alla minaccia compatta e determinata nel chiedere al nostro Governo di approvare al più presto una legge che vieti la produzione e la vendita di cibo sintetico e mangimi nel nostro paese. Una legge che non nega e ferma la ricerca, e ci tengo a sottolinearlo ancora una volta, ma che parte dal sacrosanto principio di precauzione a tutela della salute dei cittadini. Prima di mettere nel piatto cibo prodotto in laboratorio con metodi discutibili servono studi e garanzie sulla loro sicurezza alimentare nel breve e nel lungo periodo”.
I ricercatori – sottolinea Coldiretti Toscana – hanno condotto una valutazione del ciclo produttivo della carne a base cellulare stimando l’energia utilizzata in ogni fase con gli attuali metodi di produzione, un parametro che è grosso modo indipendente dal tipo di carne prodotta. In particolare – continua Coldiretti Toscana – è stata focalizzata l’attenzione sulle sostanze nelle quali vengono fatte crescere in laboratorio le cellule staminali che sembrano avere un forte impatto sull’ambiente, in particolare a causa dei processi di trattamento necessari per evitare la formazione di tossine o batteri. Il risultato – precisa Coldiretti Toscana – è che la produzione della carne in laboratorio (animal cell-based meat or cultured meat) è più impattante dal punto di vista ambientale della zootecnia tradizionale.
Le preoccupazioni ambientali che arrivano dal mondo della ricerca – continua Coldiretti Toscana – fanno seguito ai rischi per la salute censiti dal recente Rapporto pubblicato dalla Fao e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che hanno individuato ben 53 pericoli potenziali per la salute, dalle allergie ai tumori, per i cibi a base cellulare (carne, pesce e latte) definizione considerata più chiara rispetto al termine “coltivato” preferito invece dalle industrie produttrici ma ritenuto essere fuorviante dalle due Autorità mondiali.
I pericoli potenziali interessano le quattro fasi della produzione di cibo a base cellulare: la selezione delle cellule, la produzione, la raccolta e la trasformazione. In particolare – precisa Coldiretti Toscana – i rischi secondo gli esperti consultati da Fao e Oms riguardano la trasmissione di malattie, le infezioni animali e la contaminazione microbica oltre alla necessità di una particolare attenzione sull’uso di componenti come fattori della crescita e ormoni usati nei bioreattori e su come queste molecole attive possono interferire con il metabolismo o essere associate allo sviluppo di alcuni tipi di cancro. In questo contesto – precisa Coldiretti Toscana – va peraltro ricordato che l’Unione Europea ha vietato dal 1996 l’uso di ormoni nell’attività di allevamento e produzione della carne ed è quindi improbabile che l’Efsa lo possa approvare nell’ambito della produzioni a base cellulare.
Una esigenza che ha portato alla presentazione in Italia del disegno di legge che vieta la produzione, la commercializzazione e l’uso di cibo artificiale che dovrà ora essere discusso e poi approvato dal Parlamento, con la raccolta da parte della Coldiretti di mezzo milione di firme di cittadini e oltre 2mila comuni che hanno deliberato spesso all’unanimità, tutte le regioni di ogni colore politico e di esponenti di ogni schieramento che hanno sostenuto la proposta in modo bipartisan. La Toscana ha contribuito con 35 mila firme e con oltre 100 amministrazioni comunali a sostegno della petizione. Una mobilitazione che – conclude Coldiretti Toscana – ha il merito di aver acceso i riflettori su un business in mano a pochi ricchi e influenti nel mondo sul quale si comincia ora a fare luce.
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