Nessuno si sta interessando al destino delle forme di vita tipiche del luogo, costrette a resistere in pochi centimetri d'acqua stagnante

di Andrea Pagliantini
ARBIA. Lo strazio e il grande scempio che ebbe l’Arbia quando le sue acque si tinsero di rosso, per lo scontro, nella piana di Montaperti fra le truppe fiorentine e senesi, nel 1260, ha, in epoca attuale, lo strazio e il grande scempio di un letto del torrente che si percorre normalmente con un buon paio di scarpe da trekking, con qualche pozza, più o meno grande, piena di muschio.
L’odore malsano dell’acqua stagnante, un brodo tiepido dove ancora ci sono in movimento cavedani, trote, barbi, sospesi in quel poco spazio fra il fondo e il pelo del torrente.
La grande siccità, sta distruggendo anche le forme di vita tipiche dei nostri corsi d’acqua, e ciò in altre parti della Toscana, viene evitato, con l’aiuto di volontari, della Polizia Provinciale, di associazioni di pescatori, che tolgono i pesci dai torrenti in secca e li portano negli invasi più vicini e accoglienti.
Per il Torrente Arbia, non avviene niente di tutto questo e il rimbalzo di competenze (che sono sempre altrui) che si potrebbe scatenare, non è certo molto edificante.